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La multifattorialità dell’atto motorio La base argomentativa di questa lezione è riconducibile alla notazione che il movimento è soggetto ad essere rilevato (a livello plurisensoriale), pensato (interpretato, elaborato, progettato, finalizzato) e agito in funzione di uno scopo (personale e/o sociale). È, quindi, soggetto al lavoro della mente, alla maturazione dell’intelligenza e allo svolgersi dell’esperienza. Imentali di gestione del movimento stesso (intenzionalità, finalizzazione, monitoraggio e controllo del movimento stesso), dall’altra. Affinché detto meccanismo si renda efficace, soprattutto con l’esercizio degli automatismi che ne riducono i tempi di esecuzione e di controllo, è necessario che il soggetto impari ed abbia la possibilità di “rappresentarsi” l’azione motoria prima che questa venga eseguita, per rapportarla a uno scopo ben definito (prestazione). È soprattutto la riuscita dell’atto motorio, cioè il È la fase, questa, che si svolge tra i 2 e i 7 anni e in cui prendono corpo i cosiddetti “giochi simbolici”, grazie ai quali il soggetto umano riesce a superare il proprio egocentrismo (l’essere al centro di ogni atto) per approdare al “pensiero sociale” e mettere in atto comportamenti (gesti e movimenti) socialmente finalizzati e accettati. Ciò anche grazie al passaggio, nel corso della stessa fase, della rappresentazione mentale che è in grado di procedere oltre il realismo percettivo per assumere il potere immaginativo. Nella sostanza, si può affermare che l’essere umano coglie la realtà ed elabora le sue conoscenze grazie al movimento e, nello stesso tempo, la conoscenza e la padronanza d’uso di esso sono condizioni fondamentali dell’agire (personale e sociale) e dell’approdo a sempre nuove conoscenze. 1 Il sistema vestibolare assicura l'equilibrio del corpo, registrando la posizione ed il movimento della testa nello spazi ione di essa nei diversi contesti culturali e scientifici della sua applicazione (psicomotricità, sociomotricità, formazione sportiva) sono individuabili tre distinti ambiti di indagine, i quali però, come si è già detto, possono trovare una sostanziale unitarietà di riferimento se collocati in una logica pedagogica, la quale ha come oggetto privilegiato la formazione della persona nella sua duplice caratterizzazione: individuale e sociale. Detti ambiti d’indagine sono relativi a tre diverse modalità di ricerca scientifica, da cui scaturiscono peculiari e autonomi sistemi codificativi disciplinari, e più precisamente: - la psicologia; - la neuro-fisiologia; - la sociologia. e, quella stadiale. Una metodologia che ha la sua fonte originaria in J. Piagèt, e che in tempi recenti ha trovato ampia conferma e approfondimento. Meinel & Schnabel (1977)2, ad esempio, hanno individuato tre fasi dell’apprendimento motorio: 1 - Fase di coordinazione grezza 2 - Fase di coordinazione fine 3 - Fase di disponibilità variabile La prima fase, quella della coordinazione grezza, ha vari stadi manifestativi: ha un primo livello di sviluppo nei primi tre anni di vita. Successivamente a questa età si assisterà ad un suo progressivo consolidamento, per poi incrementarsi repentinamente dopo i 7 anni fino ai 10-13 anni, età in cui si manifesterà una certa stasi che durerà fino ai 15 anni quando riprenderà con deciso vigore, grazie all’aumento del tono muscolare, della rapidità di esecuzione e della abilità di controllo. Nella terza fase, quella della disponibilità variabile, lo schema motorio appreso e continuamente migliorato diviene abilità e può essere utilizzato in situazioni e contesti molto diversi. Diremmo, oggi, è usato con competenza. Un’altra classificazione, che per molti versi è complementare a quella di Meinel & Schnabel, è quella proposta da K. Newell (1985)3 il quale individua, nello sviluppo della motricità, due stadi: 1- stadio della coordinazione 2 - stadio del controllo. Nel corso del primo stadio, quello della coordinazione, vengono acquisite le basi strutturali e coordinative dell’azione; invece, nel secondo stadio, quello del controll. 3 La costruzione dello schema corporeo Sono due le variabili che concorrono al costituirsi degli schemi mentali di azione: la realtà conformativa dell’ambiente di vita e la rappresentazione che si ha del proprio corpo e delle sue funzioni.schema corporeo. Schema grazie al quale trovano coerente rappresentazione l’unità corporea e le sue parti nella gestione delle relazioni con l’ambiente. Ad introdurre il concetto di schema corporeo è stato, nel 1905, il francese Gaston Bonier, studioso di etologia con notevoli competenze nel campo neurologico e fisiologico, configurandolo come la “rappresentazione permanente della organizzazione topografica e spaziale del corpo, connessa particolarmente alla sensibilità vestibolare, e che fornisce al soggetto l'orientamento riflessivo e transitivo.”4 Successivamente egli aggiunse alla definizione di schema corporeo anche quella di "aschematia" che indicava, appunto, le alterazioni della raffigurazione corporea rilevando che non esistevano termini adeguati a designare lo stato di "non vertigine", di quello stato, cioè, nel quale l'individuo si trova normalmente quando è in grado di orientarsi sia nei confronti dell'ambiente che rispetto alle stesse variazioni posturali del suo corpo. Intorno alla metà degli anni trenta il neuropsichiatra P. Schilder riprende detto concetto di schema corporeo e perviene ad una nuova definizione, rappresentandolo come “l’immagine tridimensionale che ogni individuo ha del proprio corpo, non solo per quanto riguarda i segmenti che lo costituiscono, ma anche per la loro reciproca rappresentazione nello spazio". Di qui il concetto di "rappresentazione corporea", concepita come risultante di un processo mentale dinamico, in continua evoluzione. Concetto, questo, che verrà più tardi ripreso considerato come una intuizione d'insieme o conoscenza immediata che noi abbiamo del nostro corpo in posizione statica o in movimento, nel rapporto delle diverse parti tra di loro, e nei rapporti con lo spazio circostante, gli oggetti e le persone". Per Le Boulch, questa nozione di schema corporeo è al centro della relazione vissuta universo- soggetto e corrisponde a un sentimento di disponibilità corporea all’attuazione dei diversi comportamenti sociali. La rappresentazione dello schema corporeo è, dunque, una tappa ".5 il Wallon indica tre momenti fondamentali: 1 – il tempo che intercorre dalla nascita ai tre anni. È la fase identificabile come "periodo del corpo vissuto". In questa fase “il comportamento motorio è globale e le sue ripercussioni emozionali sono potenti e non controllate (espressione spontanea). Il bambino procede per prove ed errori: metodo che gli permette di acquisire dei modi di comportamento usuali. 2 – la fase della "discriminazione percettiva", che va dai tre ai sette anni. “Durante tale stadio evolutivo, nel bambino si sviluppa la capacità di controllo posturale e respiratorio, si affermano la lateralità e la conoscenza della destra e della sinistra. Egli passa da uno stato globale e sincrético ad uno delle differenziazioni. 3 – la fase dell'organizzazione definitiva dello schema corporeo, che interessa il periodo che va dai sette e i dodici anni, durante la quale il soggetto “ha la possibilità di rilassamento globale e segmentario, può passare dalla conoscenza di sé a quella delle persone che gli stanno intorno e, quindi, può sviluppare la capacità di apprendimento e di relazione socializzanti col mondo esterno (Wallon, 1967).”8 Affinchè detto processo si realizzi nel modo migliore è necessario che il soggetto abbia una conoscenza precisa della propria corporeità e stabilisca una corretta relazione tra la conoscenza del proprio schema corporeo e lo spazio dove egli compie i movimenti. Concetto questo che verrà ripreso da K. Lewin e che darà luogo alla sua teoria dello “spazio vitale”. Il Lewin afferma, infatti, che “il bambino, attraverso il movimento, conquista spazi sempre più ampi (casa, giardino, scuola), scoprendo, in questo modo, realtà e rapporti sociali utilissimi per la sua maturazione intellettuale. E', dunque, da considerare particolarmente importante il rapporto tra individuo e ambiente, in quanto determina, sulla base delle modalità relazionali, l'origine della produzione soggettiva del sociale. Il bambino è sempre teso ad esplorare la realtà che ha intorno, adattandovisi ed esprimendo, così, il sociale. In questo modo interiorizza. Un ulteriore contributo sull’importanza dell’acquisizione dello schema corporeo per lo sviluppo delle conoscenze e per la gestione delle dinamiche relazionali è quello fornito da Milton Erickson il quale ricorre all'espressione "identità dell'Io" per designare il nucleo centrale della personalità individuale. Secondo la sua teoria, “ogni bambino è dotato di pulsioni autonome che interagiscono con il suo ambiente in modo tale che alla fine emerge l'Io. Il senso dell'Io non è innato, ma affiora con il passare del tempo. Tale processo evolutivo si sviluppa