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1 Origine del modello per Episodi di Apprendimento Situato(EAS) La teorizzazione del modello EAS si inserisce in quel filone di analisi della didattica nei suoi aspetti micro, quella che si occupa della progettazione della singola lezione o di una serie contenuta di lezioni, in funzione dello sviluppo delle competenze disciplinari o interdisciplinari. Non vi è una visione di curricolo, non si accede alla comprensione del percorso che caratterizza il lavoro di una scuola o di una classe per un intero anno scolastico. EAS è un modo per ripensare le strategie con le quali un apprendimento può diventare significativo nel senso di Ausubel, ovvero il modo in cui si integra nelle strutture di conoscenza dello studente perché ne è lui stesso l’artefice. Il modello strutturato per Episodi di Apprendimento Situato (EAS) deve la sua organizzazione, secondo il pensiero del suo autore, Pier Cesare Rivoltella, a diverse esperienze personali di studio e alle riflessioni maturate nell’ambito della didattica. Traendo ispirazione dalle lezione da esperienze personali di studio e dalla ricerca internazionale, Rivoltella ha così definito le tappe dell’apprendimento autoregolato che costituiscono la struttura sottesa al modello EAS: 1. “Individuare un tema di ricerca. 2. Trovare informazioni pertinenti, selezionarle, farne sintesi. 3. Imparare a organizzare le proprie informazioni ai fini della loro esposizione. 4. Presentare in poco tempo il proprio lavoro, imparando a non perderne sulle parti meno importanti e a dedicarne invece a quelle meritevoli di attenzione. 5. Imparare a fare domande, a trovare punti criticabili nel lavoro altrui, a sostenere una Attraverso queste fasi di lavoro si rende visibile un cambiamento fondamentale rispetto alla lezione frontale: è lo studente che si confronta per primo con i materiali di studio, che individua una personale via di comprensione e solo successivamente, dopo aver cercato di capire e di formulare domande, troverà nel docente un riferimento per chiarire i suoi dubbi, per alimentare nuove conoscenze. Si ha una vera e propria inversione delle fasi che solitamente si osservano nelle lezioni “tradizionali”: spiegazione, confronto tra quanto esposto dal docente e presente nel testo, studio. Per quanto riguarda la ricerca sulla didattica, Rivoltella seleziona alcuni particolari autori e filoni. L’autore attribuisce un primo “debito” a Freinet, insegnante che ha reso trasferibile il proprio modello di scuola attiva attraverso l’invenzione di alcune tecniche didattiche, quali il testo libero, la stampa in classe, le uscite didattiche e la matematica “viva”. Nella scuola di Freinet la personalizzazione, intesa come possibilità per ciascuno di seguire un proprio percorso formativo, anche giungendo a risultati differenti, era concretizzata nella presenza di tanti percorsi perseguibili da ciascuno secondo decisioni individuali. Questo non significava assolutamente che non vi fossero lavori in gruppo, anzi, la dimensione collettiva era fortemente presente e ampiamente formativa per gli alunni. Si pensi ad esempio al testo libero: uno studente decideva quale testo produrre, lo leggeva agli altri e tutti insieme procedevano a migliorarlo, dando indicazioni affinchè diventasse comprensibile e utile per scambiare informazioni con altri: la corrispondenza con altre classi, anche molto lontane, era una vera e propria esperienza interculturale, di ascolto e di dono. Ogni studente era impegnato nella stesura di un personale piano di lavoro e le attività di esplorazione e ricostruzione di un argomento affrontato diventavano oggetto di presentazione, i tutte quelle attività funzionali alla gestione di corsi on line, alla predisposizione di contenuti autoconsistenti fruibili senza la presenza del docente e alla realizzazione di Open Courseware Program, come nel caso del MIT di Boston. Attualmente la manifestazione più evidente di questo fenomeno di inversione delle fasi di apprendimento, molto più legate alla connessione tra ambiti informali, nsegnamento in contesto” (Rivoltella, 2013, 52) che riprende anche le riflessioni sul Mobile Learning, in modo particolare nelle attività di microlearning che dalla digitalizzazione e dalla virtualizzazione hanno ricevuto un grande impulso. La modalità informale di fruizione e accesso alle conoscenze è tipicamente per microlearning: si cercano informazioni, le si pongono a confronto, si originano delle domande che fanno proseguire verso altre ricerche o aiutano a fare una sintesi. Questo processo, ormai diffuso e quasi generalizzato, è riscontrabile nelle popolazioni che sono quasi sempre connesse, quelle che con i digitale hanno sviluppato una familiarità d’uso. La struttura di un EAS consta di tre elementi: 1. Il momento anticipatorio che è costituito da una situazione stimolo (un video, un’immagine, un documento, una testimonianza) e di una consegna che viene assegnata in classe; 2. Il momento operatorio che consta di una microattività di produzione. Si tratta del “cuore” dell’EAS e consiste nella richiesta di risolvere una situazione problematica o di lavorare comunque alla situazione-stimolo attraverso la produzione di un contenuto; 3. un momento ristrutturativo che consiste nel debriefing riguardo a quanto accaduto/realizzato nei due momenti precedenti, ovvero nel La progettazione di un EAS richiede innanzitutto di definire, nella fase preparatoria, quale stimolo dare e come fornire un breve framework attraverso il quale lo studente costruirà una visione globale rispetto al compito che gli verrà assegnato. Potrebbe essere, ad esempio, un breve inquadramento storico per poi assegnare un’attività di ricerca volta a scoprire le motivazioni delle decisioni prese da un particolare governo in una specifica situazione. In classe il docente farà una breve (10-15 minuti) introduzione e poi provvederà a dare le indicazioni di lavoro e i materiali (riferimenti ad essi) sui quali lo studente attiverà la propria attenzione per elaborare o una risposta, o per cogliere le informazioni e dar loro una connessione. I materiali potrebbero essere di diverso tipo e richiedere quindi operazioni differenti: a. uno o più documenti da consultare fornendo delle domande per aiutare lo studente a capire se sta realmente comprendendo quanto letto; b. diverse risorse attraverso le quali lo studenti può fare una ricerca e costruire una visione personale sui fatti, sul problema; c. processi o artefatti da analizzare per comprendere, ad esempio, la struttura, la sequenza; d. l’esperienza effettuata in classe (es. un’uscita didattica) che deve essere ripercorsa per individuare particolari aspetti. La fase preparatoria si articola quindi in tre fasi: fornire il framework concettuale, definire la tipologia di stimolo e fornire le consegne per le attività da svolgere. La seconda fase di un EAS è quella operatoria, momento che si svolge in classe e che riprende quanto sviluppato da ogni studente durante il lavoro domestico. Quando il docente procede alla progettazione del lavoro da svolgere in aula dovrebbe rispondere ad alcuni interrogativi: prevede sempre la realizzazione di un artefatto)? Si può pensare a una mappa, a una relazione, a una rappresentazione e molto altro. In che modo le attività svolte a casa sono essenziali per affrontare il lavoro in aula? Quali aspetti di conoscenza e di competenza si intendono attivare? L’attività scolastica può essere sia individuale, sia di gruppo e dovrebbe condurre a una condivisione dei risultati. Un simile passaggio aiuta a sviluppare quella capacità di ascolto e di analisi critica di quanto proposto dagli altri, ma anche la visione del proprio lavoro attraverso l’interpretazione che ne fanno gli altri: un momento estremamente formativo di distanziamento che contribuisce ad alimentare una consapevolezza sull’agito. La terza fase dell’EAS è quella ristrutturativa. È forse il momento che nella didattica tradizionale non trova spazio o che viene effettuato in modo saltuario e quindi non aiuta gli studenti ad acquisire un metodo per recuperare, ristrutturare, valutare il proprio apprendimento e di rilanciare altre sfide attraverso l’individuazione di domande, di problemi, di approfondimenti. Le tecniche che possono essere utilizzate per questo processo di rivisitazione dell’esperienza sono - il metaplan. “Esso consiste nel chiedere a ciascun membro del gruppo di sintetizzare su un post-it (o, oggi, più facilmente su una bacheca elettronica ccome Padlet), il suo punto di vista; i singoli post-it vengono incollati su un cartellone perché possano essere visualizzati. A questo punto i partecipanti vengono invitati a muoverli sulla superficie del cartellone aggregandoli per contenuto. Dei pennarelli possono consentire di completare il lavoro corredando le nuvole di testo così ottenute con delle frecce, dei riquadri, delle scritte. Terminato il lavoro – che può passare attraverso una fase di piccolo gruppo – il formatore prende la parola e conclude” (Rivoltella, 2016, 103)2. - Una diversa strategia per rendere visibile il momento di debriefing è dato dalla costruzione individuale o collettiva di mappe che permettono di rendere visibile il sapere maturato dalla classe. Co-costruire una mappa è un’ottima occasione per risistemare i contenuti, per