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Programmazione scolastica ed educativa La necessità di dare uniformità e organizzazione ai percorsi scolastici è alla radice della riflessione attuata fin dagli anni ’50 negli Stati Uniti da Tyler (1949)1 e da Taba (1962)2. Nell’elaborazione di questa proposta per organizzare l’istruzione è evidente l’influsso del comportamentismo che ha prodotto una visione relativa ad un insegnamento in grado di provocare, quando non determinare, l’apprendimento. La specificazione dei traguardi da conseguire e di conseguenza la selezione dei percorsi didattici adeguati è ispirata a una visione process-product, ad un principio di causazione (Damiano, 2013) che resta di difficile giustificazione, soprattutto in un tempo contraddistinto dalal complessità e dalla variabilità. Nella scuola italiana si è iniziato a parlare di programmazione con l’introduzione dei Decreti Delegati nel 1974 ( L’attenzione è volta al percorso di ogni alunno in modo molto specifico. All’articolo 4 si trova quanto segue: “L'insegnante o gli insegnanti di classe sono tenuti a compilare ed a tenere aggiornata una scheda personale dell'alunno contenente le notizie sul medesimo e sulla sua partecipazione alla vita della scuola nonché le osservazioni sistematiche sul suo processo di apprendimento e sui livelli di maturazione raggiunti. definire gli obiettivi per il singolo alunno, ma a monitorare costantemente il suo percorso e a tenerne traccia al fine di fondare la propria valutazione. Le circolari successive alla Legge 517/77 permettono di chiarire anche altre distinzioni concettuali che sono funzionali a costruire una cultura condivisa all’interno della scuola. La programmazione scolastica è quella che gli organi collegiali, a diversi livelli, stabiliscono in ordine al funzionamento generale della scuola. Si affrontano i problemi relativi alle risorse economiche e organizzative, alla definizione dell’articolazione delle attività con il territorio. La programmazione educativa è quella formulata dai docenti per realizzare i loro interventi didattici. Quindi mentre la programmazione scolastica è situata all’interno del rapporto tra scuola e società, la programmazione educativa tratta il rapporto tra scuola e alunni, o ancor meglio, tra insegnamento e apprendimento. Appaiono anche due termini che in questo specifico contesto delimitano la copertura temporale della programmazione: - si parla di piano quando, in più anni, si definiscono le scelte politico-amministrative della comunità, delle priorità che definisce in rapporto ai bisogni rilevati. Attualmente il piano è divenuto prima il POF (Piano dell’Offerta Formativa e successivamente il PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa); - si parla di programma (e quindi della programmazione) quando gli organi della scuola determinano la traiettoria che verrà perseguita all’interno dell’anno scolastico: dal piano si ricavano quindi i vari elementi contestualizzati nelle diverse scuole. A seguire, in ogni scuola, gli insegnanti determineranno gli obiettivi per ogni singola classe. ricavano quei segmenti che trovano una loro concretizzazione con la singola classe e il singolo alunno. La programmazione scolastica ha portato alla definizione di un modello procedurale che è diventato un riferimento per tracciare l’articolazione della formazione in generale. Eccolo in sintesi: 1. individuazione dei bisogni espressi e inespressi, 2. analisi della situazione (delle risorse e dei vincoli esistenti, delle risorse necessarie, del numero di utenti interessati...), 3. individuazione degli obiettivi reali (nel senso di sostenibili), 4. deliberazione della realizzazione (scelta dei contenuti, dei tempi, delle modalità, criteri di verifica..), 5. verifiche periodiche con delibere di aggiustamento e/o adeguamento. A livello di programmazione educativa si traduce in un diagramma di flusso: Bisogna accertarsi che ogni alunno possegga i pre-requisiti necessari per l’apprendimento che verrà proposto. Se si verifica la non presenza dei pre-requisiti occorre ripensare la serie delle attività in modo da condurre tutti gli alunni allo stesso livello Valutazione d’ingresso Se SI allora si passa alle attività Se NO allora si passa al recupero dei pre-requisiti Si attuano le attività previste per il conseguimento dell’obiettivo. Vi sono tutte le opportunità predisposte affinchè lo studente possa imparare e conseguire Attività didattiche l’obiettivo Valutazione formativa Se NO allora si passa al recupero La valutazione a questo punto del percorso non costituisce un giudizio sullo scolaro ma è la verifica sul grado di apprendimento rispetto all’obiettivo. Se l’apprendimento non c’è si forniscono nuove e diverse opportunità di apprendimento fino al conseguimento dell’obiettivi previsto. Appare quindi un nuovo termine, strettamente connesso alla definizione degli obiettivi: la verifica, azione intrapresa dal docente attraverso diversi tipi di prove che permette di far capire sia all’insegnante sia all’alunno quale sia il suo livello di apprendimento. Non è ancora una valutazione, essa è un processo complesso che prende atto dei risultati delle prove ma anche di molti altri elementi per giungere alla formulazione di un giudizio. La sequenza sin qui illustrata (dai pre-requisiti alla verifica della performance) si ripete per un nuovo obiettivo. aso La didattica per obiettivi 2 Il concetto di obiettivo Mager (1989)4 esordiva così: “Chiunque decida di insegnare qualcosa, se vuole avere successo, deve agire, in via preliminare, seguendo molteplici direttive. Da una parte deve assicurarsi dell’effettiva utilità dell’istruzione accertandosi che 1) ci sia un motivo per l’apprendimento e che 2) gli studenti non conoscano già quello che si intende insegnare; dall’altra deve specificare con chiarezza i risultati o gli obiettivi che intende raggiungere” (Mager, 1989, 7). - Che cosa dovrebbe essere in grado di fare l’allievo? - In quali condizioni l’allievo dovrebbe essere in grado di farlo? - Come dovrà essere fatto? Queste tre domande sono le più importanti per riuscire a pensare correttamente un obiettivo. Supponiamo che si richieda allo studente di descrivere l’oggetto che ha di fronte (un vaso di fiori): la performance è determinata dal suo comportamento e dal prodotto (lo scrivere, la descrizione). Ma gli si chiederà di farlo anche in una determinata condizione (in aula, in max 30 minuti, ...). Per riuscire a connettere la valutazione con l’obiettivo è determinante la scelta dei criteri, ovvero i riferimenti che verranno utilizzati per definire che quella performance e quel prodotto possono essere considerati adeguati e quindi che l’obiettivo dell’insegnante (descrivere...) sia stato conseguito. I criteri potrebbero essere la correttezza ortografica, il seguire uno schema descrittivo (se è stato dato), la ricchezza dei particolari, la pertinenza con il reale.... Soddiiettorie che potrebbero essere scomposte in obiettivi, quali “valutare il proprio compito utilizzando una rubrica condivisa, svolgere l’attività senza aiuti dall’insegnante o dai compagni nel tempo definito...” e così via. Questa serie di operazioni di analisi che l’insegnante si trova a dover eseguire per definire l’obiettivo ha delle ricadute estremamente interessanti in termini di professionalizzazione; in particolare aiuta a mantenere l’attenzione su aspetti specifici in rapporto al percorso didattico.3 Analisi critica Attuare una didattica per obiettivi induce anche alcune problematiche. La prima è connessa alla frammentarietà/unitarietà del sapere. L’obiettivo deve far riferimento a comportamenti e a performance dettagliati: la prima conseguenza è che si viene a costruire una frammentazione dei risultati attesi in termini di conoscenza, di prestazione, di compito stesso da affrontare. Risulta estremamente complesso (se non impossibile) scomporre un compito autentico, come può essere la progettazione di una ricerca per trovare risposte a domande, in obiettivi: la lista sarebbe molto lunga e non si giungerebbe mai a cogliere l’interezza delle diverse prestazioni e il loro posizionamento nel processo connesso al compito. Quindi il compito deve essere lineare, presentare pochi elementi e ben definiti. Il sapere è paragonabile a una sommatoria di tanti elementi che vengono individuati tramite un processo di operazionalizzazione (dall’astratto all’indicatore visibile) e successivamente di ricomposizione. È evidente come questa doppia direzioni presenti problematiche sia in un verso che nell’altro. “sviluppare l’autonomia dello studente, a far maturare un spirito critico”, così non è per l’obiettivo, vero e proprio step temporalmente e contestualmente definito. La seconda problematica può essere identificata nella visione lineare o complessa. La “cultura dell’obiettivo” diffusasi tra gli anni ’70 e ’80 a differenti livelli trova una giustificazione in una visione più “scientifica” della programmazione, una visione che si avvale di alcuni punti di forza quali: gli obiettivi - consentono di effettuare in modo mirato delle scelte rispetto alla molteplicità di proposte contenute nei programmi; - possono aggregare contenuti fra loro disparati in quanto fanno riferimento a performances che rispondono a differenti ambiti; - permettono di anticipare i risultati attesi e di allineare in modo chiaro la valutazione; - rendono trasparente il processo valutativo; - forniscono un’ottima condizione per predisporre la linearità dell’insegnamento, un passo dopo l’altro in ordine di consequenzialità.