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1 Dimensione e capacità innovativa Il termine “dispositivo” evoca spesso diversi significati connessi a differenti ambiti. Nel linguaggio comune “dispositivo” è soprattutto identificato come artefatto tecnologico o elettrico ed è funzionale a svolgere delle azioni. Il computer o una sua parte, un piccolo elettrodomestico, o anche un apparato bellico, sono dispositivi che ci consentono di fare ciò che la sola potenzialità del nostro corpo non riuscirebbe a realizzare. Anche in ambito medico il dispositivo corrisponde ad un apparecchio per la diagnostica, per effettuare terapie o altri interventi atti ad analizzare e curare il paziente. In filosofia il concetto di dispositivo è stato teorizzato nel XX secolo1 per descrivere un insieme di elementi fra loro interconnessi che permettono di esercitare forme di controllo e di potere sugli individui. Altre discipline hanno inserito questo termine nel loro glossario: il diritto per definire una parte di un atto contenente la decisione finale di un giudice, rinviando quindi a un significato implicito di scelta, determinazione, e la didattica che più recentemente ne ha fornito una definizione complessa, utile a ripensare la progettazione 2 Il dispositivo tecnologico “Il termine “dispositivo” trova ampio uso nel linguaggio corrente per denominare gli artefatti caratterizzati da un funzionamento tecnico. L’evoluzione di tali tecniche ha prodotto un sempre maggiore distanziamento fra l’elemento fisico e materiale, e il funzionamento. Si prenda come esempio il grammofono: la musica veniva prodotta dall’impatto della testina sul disco e vi era una relazione analogica tra la traccia sul vinile e la musica. Si poteva ascoltare una melodia e guardare il funzionamento meccanico; l’azione dell’ascolto era legata a determinati momenti all’interno di uno spazio definito. Attualmente la musica si ascolta prevalentemente con gli i-pod, minuscoli oggetti che si integrano perfettamente con il corpo, quasi si nascondono in esso, e che consentono di sentire i brani preferiti in qualsiasi situazione e luogo. Gli oggetti da manipolare sono infinitamente più piccoli e complessi e i processi che stanno alla base del loro funzionamento sono sempre più invisibili e sconosciuti all’utilizzatore finale. Riprendendo la definizione di Borgmann (1987), un dispositivo tecnologico è un insieme di oggetti tecnici che, aggregati per adempiere a un determinato scopo, tende poi a diventare invisibile all’aumentare della sua complessità. La realtà in cui viviamo è pervasa da dispositivi tecnologici complessi che supportano la comunicazione, la ricerca e combinazione di informazioni, ampliano le possibilità delle funzioni corporee, ci consentono innumerevoli azioni quotidiane e hanno assunto una naturalità tale da non poter più essere separabili dall’azione umana. L’informatica ha accelerato fortemente il processo verso l’invisibilità dei dispositivi, consentendo operazioni inimmaginabili fino a un decennio fa. La logica, messa in atto dal costruttore, si pone accanto alla logica dell’utente; attraverso le risposte dell’artefatto alle singole scelte, il soggetto ragiona sul proprio pensiero e sulle possibilità di funzionamento per raggiungere lo scopo. Usare un nuovo dispositivo tecnologico implica frequentemente procedere per prova ed errore in base a modelli di funzionamento conosciuti in altre occasioni oppure leggere le istruzioni e provare delle procedure. Per dominare la complessità dei dispositivi tecnologici attuali, si rende necessario costruire simulazioni mentali della serie di azioni e ipotizzarne gli effetti, scoprire modellizzazioni di lavoro. Il pensiero soggettivo interpreta il pensiero tecnico e dà vita a pratiche, che richiedono di recuperare e applicare routine, e anche nuove strategie operative. Come evidenziato da Pastré (2004)2, i processi cognitivi attivati da coloro che utilizzano tecnologie con differente complessità di controllo, sono molto diversi. Il ricercatore ha confrontato le pratiche di alcuni addetti a una pressa che usavano tecnologie digitali per il controllo del funzionamento, con quelle di addetti che utilizzavano tecnologie meccaniche. Il processo dei primi mostrava due attività costanti, ovvero la rappresentazione e la simulazione, mentre i secondi agivano più spesso per approssimazione con relative soluzioni di compensazione. Secondo l’autore gli addetti più pratici nell’uso delle tecnologie digitali riuscivano ad avere una visione d’insieme che consentiva loro di realizzare operazioni complesse. Diverse risultavano, quindi, le modellizzazioni del sistema che scaturivano dalla differente tecnica utilizzata. “Questa capacità di rappresentarsi un processo materiale sotto forma di un modello mentale dà all’azione una nuova ampiezza. Il soggetto può mettere in opera una regolazione proattiva, che gli permette di anticipare gli avvenimenti prima che essi arrivino. Egli può sviluppare una strategia d’insieme per risolvere i suoi problemi, poiché egli può rappresentarsi l’insieme delle tappe che possono condurle allo scopo. Egli non è più condannato a una condotta per prova ed errore, con una successione molto caratteristica di fasi di disorientamento e di riorientamento” (Pastré, 2004, 33). 2 Pastré, P.(2004). Recherches en didactique professionnelle, Octarés, Toulouse, p. 163-180. ultati: una facilitazione nello svolgimento di alcune pratiche di produzione e contemporaneamente una complessificazione nel governo delle tecnologie che supportano le pratiche stesse. L’equilibrio necessario a rendere le tecnologie un reale supporto ai processi e non un ostacolo a essi, si gioca nel realizzare costantemente un dialogo fra progettisti di tecnologie e utilizzatori in una continua ricerca di usabilità e accessibilità. L’obiettivo è quello di creare relazioni uomo-tecnologia che supportino il potenziamento del pensiero e delle associazioni, delle rappresentazioni e delle connessioni che lo alimentano” (Magnoler, 2009, 209-210)3. 3 Il dispositivo didattico Il concetto di dispositivo viene sempre più utilizzato in ambito didattico per ripensare il processo di apprendimento e insegnamento nel suo manifestarsi e quindi ai supporti necessari per renderlo efficace. Secondo Calvani con il termine “dispositivo” non si fa riferimento «solo a strumentazioni fisiche, ma anche ad apparati culturali, concettuali e normativi: un programma di azione, una strategia didattica, una griglia di lavoro al pari di un’interfaccia software, sono ugualmente dispositivi, cioè supporti per orientare le dinamiche acquisitive» (Calvani, 2007)4. La classificazione che l’autore propone riporta diverse famiglie di dispositivi: teorici (modelli di apprendimento e di istruzione), didattici (strategie didattiche), progettuali e attuativi (modelli curricolari/ambienti costruttivisti). Vi sono anche dei dispositivi di valutazione che vanno a indagare il profitto/processo/progetto/sistema. Tutto ciò che riguarda la formazione si traduce in dispositivi, dal modello, all’applicazione, fino alla valutazione. Damiano cerca di focalizzare il concetto di dispositivo indicandolo come un «plesso di fattori attivi che condizionano, indirettamente, ma efficacemente, le performance dell’apprendimento» (Damiano, 2006, 72). Si riprende in questo caso l’importanza che assume l’organizzazione interna degli elementi al fine di direzionare, o almeno orientare, le azioni dei soggetti. Anche Perrenoud utilizza il termine “dispositivo” per definire la situazione progettata dal docente affinché gli studenti siano nella possibilità di svolgere un compito, di realizzare un progetto, di risolvere un problema. Non esistono perciò dispositivi intesi come struttura invariante, poiché tutto dipende dalla disciplina, dagli alunni, dalle opzioni dell’insegnante, dai contenuti. “Praticare un percorso di progetto induce certi dispositivi. Il lavoro per situazioni problema ne induce altri, i percorsi di ricerca altri ancora” (Perrenoud, 2002, 34). Ma vi è un’ulteriore precisazione: “Ogni dispositivo si basa su ipotesi relative all’apprendimento e al rapporto con il sapere, con il progetto, con l’azione, con la cooperazione, con l’errore, con l’incertezza, con la riuscita e l’insuccesso, con l’ostacolo, con il tempo” (Perrenoud, 2002, 37)5. Ritorna quindi l’importanza della prospettiva iniziale con la quale si affronta la situazione formativa. Ulteriore contributo è dato da Berten (1999) secondo il quale i dispositivi costituiscono un modo di considerare l’ambiente naturale o condo Agamben (2006), che riprende Foucault, il dispositivo è la rete che si costruisce fra gli elementi, ha una funzione strategica, è l’incrocio fra relazioni di potere e di sapere dei vari soggetti che lo popolano. L’autore approfondisce la sua disamina presentando anche la funzione più direttiva che può assumere il dispositivo. «Comune a tutti questi termini è il rimando a una oikonomia, cioè a un insieme di prassi, di saperi, di misure, di istituzioni il cui scopo è di gestire, governare, controllare e orientare in un senso che si pretende utile i comportamenti, i gesti e i pensieri degli uomini» (Agamben, 2006, 20). namento, al dispositivo in ambito educativo viene assegnata anche la funzione di “equipaggiare” il soggetto per affrontare gli eventi della vita. Inizia quindi, attraverso la comprensione del funzionamento del dispositivo stesso, a trovare strategie differenti per interpretare il contesto e a perseguire anche obiettivi personali e/o comuni e condivisi con altri. Ci si sposta da un versante coercitivo a un versante di orientamento, di potenziamento nel quale l’autoregolazione del soggetto è di fondamentale importanza.