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I soldi per Provenzano allo Ior Dopo aver subito una condanna in primo grado a cinque anni e otto mesi per l'accusa di aver riciclato i soldi del padre, oggi il figlio Massimo ha cambiato strategia. Si mostra collaborativo con le Procure di Palermo e di Caltanissetta, deciso a raccontare ogni segreto. Massimo era l'ombra del padre, il suo braccio destro. Accompagnava don Vito agli appuntamenti più importanti. Raccoglieva le confidenze. Incontrava a casa le persone in udienza, questuanti che giorno e notte chiedevano di aggiustare le cose, di sistemare gli amici degli amici. Ma anche potenti. Come quel misterioso ingegner Loverde che arrivava senza preavviso e si intratteneva sino a notte fonda. Solo anni dopo il figlio dell'ex sindaco riconoscerà negli identikit apparsi sui giornali Bernardo Provenzano, l'imprendibile padrino alla macchia dal 1963 che verrà arrestato solo nel 2006 dopo quarantatrè anni di pizzini, tra complicità e protezioni. Massimo Ciancimino viene convocato in Procura dopo aver svelato per la prima volta nel dicembre del 2007 i rapporti diretti tra suo padre e Provenzano in un'intervista rilasciata all'autore e pubblicata su «Panorama»:9 Avevo diciassette anni quando ebbi il sospetto che Provenzano venisse a casa, nel centro di Palermo, a incontrare mio padre. [...] Provenzano si faceva chiamare ingegner Loverde. Un giorno da ragazzino sfogliai «Epoca» e riconobbi nell'identikit di Provenzano, già superla-titante, proprio l'ingegner Loverde, l'unica persona che incontrava mio padre a casa senza appuntamento. A volte lo riceveva in pigiama. Si chiudevano in camera da letto e discutevano per ore. Essendo nottambulo, mio padre spesso di giorno dormiva. Siccome io dovevo studiare, rimanevo a casa e filtravo le sue telefonate.10 Di certo Massimo Ciancimino oggi non guarda più in faccia nessuno. Chiama in causa imprenditori, magistrati, ufficiali e persino il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Nicola Mancino. E già stato sentito una quindicina di volte in località rimaste segrete e proprio mentre questo libro va in stampa ancora collabora con le Procure. I magistrati sono cauti. Sia il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, sia l'aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, hanno disposto numerosi accertamenti per verificare le accuse. Non lo indicano come pentito, ma lo convocano come testimone nei tribunali. Hanno imposto il top secret sui verbali e stanno verificando le ricostruzioni, trovando le prime conferme alle sue parole. Due gli argomenti principali: il triangolo affari-mafìa-politica che da sempre condiziona la vita nell'isola e le pesanti infiltrazioni delle cosche nelle istituzioni tali da influenzare persino le inchieste. Un caso per tutti: la trattativa tra mafia e Stato per catturare Totò Riina nel 1992 con la lettera, il famoso «papel-lo» delle richieste di Cosa Nostra,11 per consegnare il boss cor-leonese che viene poi arrestato nel gennaio del 1993. Per questa trattativa, pende sulla testa di Ciancimino Jr. una sentenza di morte pronunciata da Riina e da altri boss come Leoluca Bagarella alla quale fa riferimento Brusca: «Riina ha il dente avvelenato con Massimo Ciancimino e secondo me a breve avrà qualche sorpresa».12 Quello che qui più interessa sono le accuse che Massimo rivolge per la prima volta al proprio padre sulla struttura finanziaria realizzata in Vaticano per far arrivare soldi alla mafia nella Palermo degli anni Settanta e Ottanta. Tramite lo Ior. Con conti correnti e cassette di sicurezza gestiti da prestanome, prelati compiacenti, nobili e cavalieri del Santo Sepolcro. - Suo padre che rapporti finanziari intratteneva con il Vaticano? Non erano rapporti bancari molto complessi. Tramite le amicizie che mio padre e la sua corrente politica vantavano dentro lo Ior, vennero aperte due cassette di sicurezza nella banca del papa. Entrambe erano gestite in un primo momento dal conte Romolo Vaselli11 mentre in un periodo successivo una venne affidata a un altro prestanome, un prelato del Vaticano affinché mio padre ne avesse accesso diretto. La struttura comprendeva poi anche dei conti sempre all'interno dello Ior che venivano utilizzati per discreti passaggi di denaro e per pagare le famose «messe a posto» per la gestione degli appalti per la manutenzione delle strade e delle fogne di Palermo affidata al conte Arturo Cassina, cavaliere del Santo Sepolcro. - A chi erano intestati i conti correnti? Mio padre ha sempre preferito la politica del tenere il «denaro sotto il mattone». Voleva il controllo diretto sulle somme, preferiva poter contare le banconote e ritirarle nell'immediato. I conti, invece, li faceva gestire sia a Cassina, sia a Vaselli, l'imprenditore che negli anni Settanta controllava tutta la raccolta dell'immondizia per la città. - Questi soldi venivano tenuti quindi pronta cassa allo Ior o reinvestiti? C'erano diversi passaggi. Le transazioni a favore di mio padre passavano tutte tramite i conti e le cassette dello Ior. Poi, dopo incontri con dirigenti della banca, i capitali venivano trasferiti a Ginevra attraverso l'onorevole Giovanni Matta e la buonanima di Roberto Parisi, l'ex presidente del Palermo calcio al quale faceva riferimento la manutenzione dell'illuminazione di tutta la città.14 Mio padre aveva infatti l'incubo di tenere somme in Italia, preferiva trasferirle all'estero. - Le commissioni erano alte? No, anzi. Allo Ior i movimenti finanziari verso stati esteri erano molto più economici di altri canali, come i classici «spalloni».15 Si poteva operare nella totale riservatezza, lasciando una minima offerta alla banca del papa. - Cosa intende per «messe a posto» sugli appalti?