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Ecco perché anche nel Sud, come abbiamo visto già a Milano con il Pool di Mani pulite, tra magistrati e investigatori le piste vaticane vengono sempre valutate con scetticismo. Innanzitutto per un'oggettiva difficoltà a compiere accertamenti, visto l'efficace sbarramento tra veti, silenzi o vacue risposte che si ottengono per rogatoria dalla Santa Sede e che rendono assai diffìcile la formazione della prova, ma anche per quell'inevitabile onda di polemiche e impopolarità che rischiano di provocare. Eppure, negli anni anche questa trama sta lentamente emergendo. Certo, con i tradizionali e insopportabili tempi lunghi dei misteri italiani, le ombre si stanno però finalmente diradando. Il filo della verità si fa più robusto, indenne ai depi-staggi, rivelando retroscena su gravissimi fatti che appaiono sempre più coniugati tra loro sebbene rimasti a oggi senza definitive risposte. Come l'omicidio del banchiere Roberto Calvi, ritrovato ucciso sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982 e il sequestro della giovane romana Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente del Vaticano, sparita il 22 giugno 1983. In questo scenario ben si inseriscono i più recenti sviluppi dell'inchiesta ancora aperta sull'omicidio del banchiere dell'Ambrosiano, che sembrano avallare l'ipotesi del figlio Carlo Calvi ovvero che «il rapimento della Orlandi è un messaggio teso a intimare al Vaticano il silenzio su certe questioni molto delicate, come quelle di natura finanziaria che hanno visto il coinvolgimento di banche, mafia, partiti politici. Queste oscure vicende risulteranno sempre legate alla nostra vicenda, alla morte di mio padre e alla fine dell'Ambrosiano».6 Ancora oggi però non si è sciolto un nodo fondamentale: comprendere il legame tra la morte di Calvi e i soldi che lo stesso ha amministrato per conto di Cosa Nostra. Solo così si potrà accertare se il banchiere è stato ucciso perché avrebbe sottratto dei capitali alla mafia non onorando la parola presa: «Che la mafia vantasse crediti nei confronti di Calvi - interpreta il giudice Otello Lupacchini - è emerso in vari processi, come è un fatto che sia stato Paolo VI a mettere in contatto Sindona, Calvi e Gel-li quando era ancora a Milano. Ma che Cosa Nostra abbia disposto l'omicidio di Calvi per il mancato recupero dei 2000 miliardi delle lire che aveva investito suscita perplessità. È massima di comune esperienza che la mafia prima rientra dei soldi poi regola i conti. Per esempio l'ha fatto per molto meno con Domenico Balducci, principale investitore della mafia per conto di Pippo Calò. Alle cosche doveva 650 milioni: prima il cassiere Calò è tornato in possesso dei soldi poi Balducci è stato ammazzato. L'altra ipotesi verosimile è che Cosa Nostra abbia fatto fuori Calvi nell'interesse di qualcun altro previa garanzia del pagamento del debito del banchiere».7 A conclusioni analoghe arriva Tescaroli, pubblico ministero al processo per la strage di Capaci e che segue quello Calvi-Ambrosiano: «In definitiva Calvi, nel subentrare a Michele Sindona, risultò svolgere una funzione di volano tra i vecchi e i nuovi equilibri strategici avvicendatisi in seno a Cosa Nostra dopo la cosiddetta ultima guerra di mafia. Se Calvi avesse messo in atto il suo proposito di riferire agli inquirenti quello che sapeva, avrebbe svelato il canale di alimentazione del Banco Ambrosiano, rappresentato dalle risorse finanziarie provenienti da Cosa Nostra, e la destinazione dei flussi di quel denaro, compresa quella del finanziamento al sindacato Solidarnosc e ai regimi totalitari sudamericani, ai quali fece espresso riferimento Calvi in alcune sue lettere. Il finanziamento fu attuato nell'interesse di una più ampia strategia del Vaticano, volta a penetrare nei paesi di area sovietica e a congelare l'avanzata comunista in America Latina. Cosa Nostra e certamente Calò non potevano accettare che emergesse e venisse rivelato agli inquirenti quel tipo di attività illecita, volta a convogliare flussi di denaro mafioso in certe direzioni, e l'attività di riciclaggio che veniva condotta attraverso il Banco Ambrosiano».8 Interessa valutare fatti inediti che s'annodano con le dichia-razioni dei primi pentiti nel confermare la centralità della banca vaticana nelle storie non solo di politica&tangenti e di malaffare, ma anche di protagonisti collusi, organici alla mafia. Insomma, in alcuni casi lo Ior sembra un'autentica e impenetrabile lavanderia di denaro sporco. Il bancomat privilegiato per gli affari più spregiudicati. L'approdo sicuro per triangolare miliardi di lire nei paradisi offshore di sindoniana memoria. Non solo faccendieri, politici tangentisti quindi, ma anche boss e padrini. Non solo le trame di Sindona e Marcinkus, lo Ior parallelo di monsignor de Bonis che si spegne alla metà degli anni Novanta, ma anche un sottobosco di protezioni per innominati e colletti bianchi che continua a prosperare sino a pochi anni fa. Superando ogni riforma, ogni controllo introdotto dalle autorità della Santa Sede. E la storia che Massimo Ciancimino racconta all'autore in una serie di incontri tra il dicembre del 2007 e il gennaio del 2009. Massimo è il quarto e ultimo figlio dell'ex sindaco di Palermo, il democristiano Vito Ciancimino. Con Salvo Lima, don Vito ha rappresentato per Andreotti il punto di riferimento in Sicilia, e a Palermo per i boss di Corleone. Figlio di un parrucchiere, Vito ottiene il diploma di ragioniere nel 1943, per entrare subito in politica e ricoprire l'incarico di assessore ai Lavori pubblici della città dal 1959 al 1964 durante il «Sacco di Palermo». In quegli anni i Corleonesi impongono le proprie licenze edilizie al punto che solo poco prima della morte di don Vito il comune chiede all'ex sindaco ben 150 milioni di euro di danni per le speculazioni compiute. Ciancimino è quindi il primo politico italiano a essere condannato definitivamente per mafia dopo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, che già nel 1984 lo ha indicato come «organico» di Cosa Nostra, uomo dei Corleonesi, determinandone l'arresto. Nel 2001 la sentenza: tredici anni di reclusione per favoreggiamento e concorso esterno in associazione mafiosa. Due anni dopo muore nella sua casa di Roma.