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Il presidente Scalfaro deve sapere In quelle settimane di indagini, alla fine dell'estate del 1998, queste informazioni ancora non si conoscono. Gli investigatori mettono insieme pezzi del mosaico cercando riscontri alle loro fonti confidenziali. Che tuttavia gli ufficiali della Guardia di finanza e anche alcuni magistrati credano pienamente alle parole delle loro gole profonde tanto da compiere passi istituzionali senza precedenti è fuor di dubbio. La situazione precipita infatti subito dopo l'invio delle relazioni sull'operazione «Sofia» alla Procura di Roma. I magistrati di Lagonegro, venuti a conoscenza dell'attività informativa chiedono copia degli atti. E logico. Stanno indagando sul cardinale Giordano e magari possono trovare tra i documenti qualche spunto interessante. Ottenuto tutto il fascicolo in copia, a Napoli e Lagonegro rimangono di sale: le operazioni indicate portano a un movimento da 5 miliardi da parte del cardinale, quello su cui anche loro stanno indagando. Così, il 4 ottobre 1998, il procuratore capo di Lagonegro Michelangelo Russo incontra il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria, l'allora colonnello Luigi Mamone, che coordina le indagini, e gli affida una missione delicatissima. Quanto accadde è inedito, incredibile e ben riassunto in un promemoria riservato che l'allora comandante generale della Guardia di finanza Rolando Mosca Moschini, oggi consigliere militare del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si fa preparare: Il comandante del nucleo regionale della polizia tributaria di Napoli il 4 ottobre 1998 chiedeva direttamente via filo, tramite il centralino del comando generale, al comandante generale di poter conferire per assolvere un delicato e personale incarico ricevuto dal procuratore della Repubblica di Lagonegro dottor Russo che ne aveva segretato specie e contenuto. Il colloquio con il comandante generale avveniva nella serata del 4 ottobre 1998 presso l'abitazione del capo di Stato Maggiore.32 In tale circostanza il col.T.st. Mamone faceva leggere l'appunto riguardante la presunta costituzione da parte di alcuni esponenti politici, di un «Grande Centro» con l'avallo di taluni ecclesiastici; al finanziamento di tale «polo» sarebbero interessati tra gli altri, Antonio Mattarrese e Pierluigi Bersani. Al riguardo il col. Mamone rappresentava che il dottor Russo d'intesa con il dottor Franco Roberti della Procura nazionale antimafia,33 lo aveva invitato a riferire direttamente al presidente della Repubblica per il tramite del comandante generale previa informazione del procuratore nazionale antimafia dottor Vigna.31 La gola profonda Alfa è ritenuta talmente credibile che i due magistrati chiedono di informare subito il presidente Oscar Luigi Scalfaro salendo al Quirinale. Per poter meglio valutare la situazione, conviene ricordare che in quegli anni tormentati Scalfaro viene contattato in un'altra particolare occasione da un procuratore capo e coinvolto in una delicata questione, ovvero quando, nel novembre del 1994, Francesco Saverio Borrelli lo informa dell'imminente avviso di garanzia per l'allora premier Silvio Berlusconi. All'epoca il procuratore capo alza la cornetta per comunicare un atto che contribuirà poi in modo determinante alla caduta del governo. Ora i magistrati chiedono udienza per riferire all'inquilino del Colle sulle possibili manovre tra faccendieri e personaggi del Vaticano per costituire un nuovo partito politico. Se non ci fossero i documenti a testimoniare quanto accaduto sarebbe effettivamente diffìcile a credersi. Mosca Moschini, generale di norma assai prudente e fine conoscitore degli equilibri politici, e Giovanni Mariella, un generale dall'occhio veloce e la battuta fulminante, ascoltano con attenzione Mamone. Il comandante generale fa quindi un meditato passo indietro: In relazione a quanto asserito e chiesto da Mamone, il comandante generale invitava l'ufficiale a seguire le indicazioni del magistrato e a rappresentare al dottor Vigna l'esigenza di un eventuale colloquio con il presidente della Repubblica per il quale avrebbe potuto provvedere direttamente lo stesso Vigna. Il comandante generale informava telefonicamente della questione Vigna il quale assicurava che avrebbe ricevuto il giorno successivo il Mamone. Per quanto noto, il procuratore nazionale antimafia non ha ritenuto che vi fossero i presupposti per assumere contatti diretti con il Capo dello Stato. In effetti, Vigna pone ai colleghi di Lagonegro un limite che appare invalicabile: gli atti sono stati trasmessi all'autorità giudiziaria di Roma che ha aperto un fascicolo facendo quindi scattare il segreto istruttorio su tutti i documenti. Non si può avvisare l'autorità politica. Eppure lo stesso Mosca Moschini pensa di trovarsi di fronte a una vicenda eccezionale, visto che l'indomani, il 5 ottobre 1998, lascia il comando generale e va a incontrarsi con l'allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco proprio per raccontargli i retroscena dell'operazione «Sofìa», come emerge dagli esecutivi del comando generale della Finanza. È un passo quantomeno azzardato visto che negli atti d'indagine compare anche il nome di Bersani, ministro proprio come Visco nel governo Prodi. Non è dato invece sapere se Visco abbia informato anche il premier. In quei giorni per magistrati e investigatori è una lotta contro il tempo. Vogliono capire se il presunto progetto sta per entrare nella fase operativa facendo compiere di conseguenza un'accelerazione, un salto di qualità alle indagini. Il vertice decisivo è quello tra il capo di stato maggiore Mariella e il procuratore Russo. Giungono alla conclusione che i finanzieri che a Genova stanno «coltivando» la fonte confidenziale devono mettersi a disposizione della Procura di Lagonegro per sapere di più. E così accade: l'8 e il 9 ottobre 1998 vengono sentiti e confermano quanto scritto. Il loro informatore attendibile paventa il piano «Sofìa». Non solo. La gola profonda viene risentita e conferma tutto. Con delle precisazioni che nel complesso appaiono quasi marginali: la prima operazione pilota sarebbe stata compiuta da «tale monsignor Giordani e non dal cardinale Giordano, come inizialmente indicato» sebbene rimanga confermato «l'interesse di quest'ultimo alto prelato a operazioni successive».