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Fantasmi del passato L'operazione «Sofìa» e la presenza dell'Aiac ripropongono scandali e trame degli anni Ottanta. L'Aiac infatti è un'associazione che compare spesso nelle inchieste degli ultimi trentacinque anni. Basta ricordarne il battesimo per capire i motivi. Viene infatti fondata nell'agosto del 1972 a Roma, davanti al notaio Franco Maria Gargiullo, dal neopresidente, il trentasettenne dottor Mario Foligni, nativo di Frascati, che firma l'atto costitutivo. All'epoca Foligni è ancora uno sconosciuto. Nel giro di qualche anno, grazie ai suoi contatti con Umberto Ortolani, Licio Gelli e alcuni presuli della Santa Sede, questo faccendiere finisce sulle prime pagine dei giornali. Anche lui, ecco la prima coincidenza con il fulcro dell'operazione «Sofìa», vuole fondare una nuova Democrazia cristiana, ovvero il Nuovo partito popolare, in questo caso «alternativo» alla Dc. Secondo il generale Gianadelio Meletti dei servizi segreti del Sid, il ministro della difesa Giulio Andreotti incarica gli 007 di spiare Foligni24 per comprendere cosa stia tramando contro la Balena Bianca. L'attività viene quindi condensata in un dossier meglio conosciuto come «rapporto Mi.Fo.Biali» (iniziali che stanno per Miceli Foligni Libia) con intercettazioni compiute proprio nello studio di Foligni, che svelano ben altri intrighi. Per sintetizzare meglio la figura di Foligni è comunque utile recuperare la sentenza d'Appello del processo di Perugia per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli: Con il termine Mi.Fo.Biali si intende un dossier formato dal SID negli anni 1974/75 su Foligni, fondatore del Nuovo partito popolare, con cui questi voleva contrastare la Dc che, secondo quello che egli riteneva, era degenerata perdendo i suoi originari valori. L'indagine era stata ampliata alla Guardia di finanza ed erano state effettuate anche delle intercettazioni telefoniche ed ambientali illegali. [...] Il dossier era pervenuto nelle mani di Carmine Pecorelli, il quale ne aveva pubblicato ampi stralci, sottolineando che da tale dossier emergevano non solo l'attività politica di Mario Foligni e del Nuovo partito popolare, ma, soprattutto, episodi di corruzione ed esportazione illegale di valuta da parte di alti gradi della Guardia di finanza e un traffico di petrolio con la Libia a cui erano interessati non solo Foligni, ma anche il fratello del premier dello Stato di Malta, Don Mintoff, petrolieri italiani, alti prelati ed ancora il comandante Raffaele Giudice.25 Tra l'altro, proprio all'epoca l'Aiac era un club esclusivo frequentato da personaggi di primissimo piano, di lì a poco travolti dagli scandali: «Foligni con me e il generale Giudice -mette a verbale monsignor Annibale Ilari al processo per "lo scandalo petroli" - frequentava l'Associazione internazionale apostolato cattolico». All'epoca Foligni reagisce alle accuse lamentandosi di esser stato «strumentalizzato e poi stritolato»26 ma conferma che si sta muovendo anche «tramite monsignor Fiorenzo Angelini, da sempre legato a doppio filo con An-dreotti» per cercare fondi e appoggi per il Nuovo partito popolare, ovvero tramite colui che è diventato «Sua Sanità». Attività che si rivela più truffaldina che politica: Foligni emette assegni a vuoto per lanciare il partito mentre nell'81 viene condannato a dieci mesi27 per essersi fatto consegnare 150 milioni da un ingenuo ragioniere di Matera al quale ha assicurato una brillante carriera politica nel Partito popolare. Il suo fascicolo penale comprende anche accuse di corruzione nello scandalo petroli e di aver spillato centinaia di milioni presentandosi proprio come presidente dell'Associazione internazionale apostolato cattolico. Se arriviamo ai giorni nostri, il tempo passa senza che nulla cambi. Nel 1997 ad Ancona arriva alle battute finali il processo per il crac della Banca Vallesina sostenuto dal pubblico ministero Paolo Gubinelli della Procura marchigiana. In realtà l'Istituto non è mai nato. Tra il '93 e il '94 un comitato promotore raccoglie parecchi miliardi da seicento risparmiatori, sostenendo che la somma sia necessaria per avviare l'Istituto di credito. Mente della truffa è l'ex presidente della neonata banca Vallesina, Giuseppe Curzi, che può contare su due validi complici: Mario Foligni e don Giuseppe Aquilanti, classe 1936, marchigiano di Staffolo e, guarda caso, legale rappresentante della onnipresente Aiac, passata indenne con il suo fondatore alle tempeste giudiziarie degli anni Ottanta. Foligni non ascolterà la sentenza del dicembre del 1997, morendo pochi mesi prima della condanna di don Aquilanti a un anno e cinque mesi per appropriazione indebita. Infine, tornando proprio a «Sofìa», il nome di don Aquilanti collegato all'Aiac compare nell'informativa della Guardia di finanza. Il peggio però deve ancora arrivare: il carcere. Sempre don Aquilanti, all'epoca parroco a Trastevere, finisce infatti dietro le sbarre nel dicembre del 2003 con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata allo smercio di titoli di Stato falsi. Per il pm Nicola Mezzina della Procura di Verbania, in Piemonte, la truffa ammonta a 15 milioni di euro. Nel 2001 i carabinieri iniziano a muoversi dopo aver scoperto tra Roma, Milano, Sondrio e Verbania i primi episodi di riciclaggio di buoni del tesoro pluriennali italiani e di buoni di risparmio del Crédit Agricole di Parigi. Tutti contraffatti. Una retata. In undici finiscono in carcere, vengono sequestrati seimila titoli francesi dal valore di 10 milioni di euro, 90 Btp per altri 450mila euro e 29 milioni di cruzeiros brasiliani. Il trucco è semplice: depositare i falsi per ottenere finanziamenti, fidi e denaro contante. Per convincere la vittima di turno interviene il solerte don Aquilanti che avvalora la bontà dei titoli, ovviamente su carta intestata dell'Aiac: «Monsignor Aquilanti - si legge nelle carte del pubblico ministero - sfrutta lo schermo dell'Associazione, mai riconosciuta dalla Curia, per presentarsi come promotore di iniziative umanitarie ma in realtà realizzando gli scopi associativi del gruppo».