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La storia del cardinale Giordano In tutto, vengono citati otto nomi. In particolare, l'attenzione si sofferma su «monsignor Mario Fornasari collegato alla "Fondazione Populorum Progressio",18 monsignor Giuseppe Monti collegato all'Associazione internazionale apostolato cattolico» e il cardinale Michele Giordano. Dopo poche settimane, quest'ultimo ha già dei grattacapi giudiziari: nel febbraio del 1998, infatti, un commerciante e un assicuratore denunciano un giro d'usura nel Potentino chiamando in causa il fratello del porporato, Mario Lucio, e un funzionario di banca. Proprio effettuando degli accertamenti sui conti di Mario Lucio Giordano gli inquirenti s'imbattono nel fratello, ben più conosciuto, il cardinale Michele, arcivescovo di Napoli.19 L'indagine per usura sul porporato apre uno scontro durissimo tra Vaticano e autorità giudiziaria. E la prima volta, infatti, che i magistrati entrano in maniera decisa dentro gli affari della Santa Sede. Una vicenda protrattasi fino al 2005, e conclusasi definitivamente con la completa assoluzione del cardinale. La Santa Sede lamenta di esser stata presa in contropiede quando nell'agosto 1998, in un Vaticano deserto, arriva la notizia dell'iscrizione di Giordano nel registro degli indagati con l'ipotesi di concorso esterno in associazione per delinquere. Il portavoce Navarro-Valls recrimina: «Non si può dimenticare l'avvenuta violazione del Concordato per la mancata comunicazione a suo tempo alla competente autorità ecclesiastica dell'emissione di un avviso di garanzia nei confronti del cardinale». Oggi l'ex procuratore di Lagonegro Michelangelo Russo20 titolare dell'inchiesta conferma le difficoltà dell'epoca: «L'inchiesta ebbe grande difficoltà perché grande fu lo sforzo da entrambi i lati di evitare che le necessità investigative sfociassero in un conflitto di Stati. Quest'indagine si mosse al limite tra la diplomazia e l'inchiesta vera e propria. In più un dato rilevante: l'altro Stato non era uno qualsiasi ma il Vaticano verso il quale va un rispetto storicamente doveroso per ogni italiano».21 Tra quest'ultima vicenda e l'inchiesta «Sofia» la sovrapposizione di elementi comuni e le coincidenze fanno riflettere. Basti pensare che nel maggio del 1999, da un radiomessaggio della Guardia di finanza di Napoli si evince che tra le «persone implicate», all'epoca, nell'inchiesta campana viene indicato persino «tale dott. Scaletti non meglio identificato, direttore generale Istituto opere di religione (I.O.R.), Città del Vaticano, per reati cui artt. 646, 61 e 110 cp»,22 ovvero appropriazione indebita. Quindi la banca vaticana e il nome del suo direttore emergono dagli atti d'indagine. Non solo. Sempre dalle carte della Procura di Napoli spunta un'operazione sospetta da 7 miliardi quando, stando almeno a quanto riportato nei report dell'inchiesta «Sofìa», a Giordano viene attribuita la gestione della «prima compensazione telematica pilota da 5 miliardi di lire». In pratica, per far rimpatriare gran parte delle somme «l'organizzazione» avrebbe prima compiuto delle prove preventive al fine di verificare se i canali finanziari individuati fossero affidabili e se quindi si potesse procedere senza intoppi: Nel mese di gennaio 1998, sarebbe stata effettuata una prima compensazione telematica da 5 miliardi di lire (lire italiane contro franchi svizzeri) tramite la Banca di Roma che avrebbe svolto la funzione di filtro tra l'Ubs di Ginevra e l'Ambroveneto. Più in dettaglio l'Ubs avrebbe chiesto alla Banca di Roma di garantire l'esistenza di fondi depositati presso l'Ambroveneto, evitando il contatto diretto fra i due istituti. Prima di procedere alla compensazione vi sarebbe stato il controllo incrociato dei capitali, avvenuto con la presenza di due rappresentanti delle parti in causa che successivamente avrebbero confermato l'esistenza degli stessi. Proprio in seguito «a questa transazione pilota, monsignor Monti avrebbe assunto la direzione delle operazioni».23 Il nome di monsignor Monti nel report è direttamente collegato all'Associazione internazionale apostolato cattolico (Aiac), con sede a Roma, in via della Consulta, 52; un ente all'epoca presieduto da discussi sacerdoti e che riporta ai più torbidi scandali del passato.