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Nome in codice, operazione «Sofia» Va detto subito che l'operazione, con il nome in codice «Sofìa», nasce dalle accuse di alcune informazioni, le cosiddette fonti confidenziali «gestite» dalla Guardia di finanza. La genesi quindi è simile a quella di molte altre inchieste che in quegli anni segnano il paese. Le fonti confidenziali vengono agganciate nell'aprile del 1998 dagli uomini del centro occulto della Guardia di finanza di Genova, militari che fanno quindi parte della dorsale dei cosiddetti «centri I», dislocati in uffici e appartamenti di copertura in ogni capoluogo di regione.9 Lontani dalle caserme e dipendenti direttamente dal reparto intelligence del comando generale, questi militari vivono in una sorta di clandestinità operativa. Nulla hanno a che vedere con i classici finanzieri, la polizia fiscale che controlla bilanci e scontrini fuori dai negozi. Si tratta di autentici 007 incaricati in questa vicenda di raccogliere e sviluppare notizie per poi raccordarsi dal 16 settembre 1998 con i superiori dell'ufficio centrale «Coordinamento informativo e sicurezza» all'epoca diretto dal colonnello Giancostabile Salato. Esso costituisce il cuore pulsante del II reparto della Guardia di finanza di corso XXI aprile a Roma. In pratica i servizi segreti delle Fiamme gialle.10 Dal 2 aprile 1998 ai primi di settembre, i finanzieri raccolgono le indiscrezioni delle fonti in incontri riservati lungo la riviera ligure. I militari ascoltano con interesse i racconti, che svelano un articolato sistema di riciclaggio a fini politici. Non conosciamo l'identità di queste «gole profonde» che per comodità chiameremo. Alfa e Beta. I loro nomi sono coperti dal segreto dell'attività investigativa, ma da quanto ricostruito poi dalla Procura di Roma e da quella di Lagonegro, intervenuta in un primo tempo, la raccolta d'informazioni avveniva in modo relativamente semplice: Alfa, la fonte confidenziale principale, un soggetto straniero che tra Germania e Montecarlo lavora nel settore finanziario, riporta dati e notizie a un intermediario. Quest'ultimo, a sua volta, riversa le informazioni al «centro I» della Guardia di finanza di Genova. Il meccanismo tutela così la fonte principale. Per Beta invece, intervenuto in un secondo momento, avallando il primo informatore e fornendo ulteriori dettagli, il trasferimento d'informazioni avviene in modo diretto. Se non sappiamo i loro nomi, è comunque noto il loro alto grado di affidabilità, espresso nelle informative degli investigatori.11Per mesi i militari lavorano su quanto raccolto. Tramite il comando generale chiedono aiuto all'Interpol, all'ambasciata spagnola, a quella britannica, verificano utenze telefoniche, scattano fotografìe per stilare poi, il 30 settembre 1998, un'informativa dai toni inquietanti, una relazione classificata come «riservata» che descrive un'autentica spy story: Nel corso di autonoma attività informativa svolta con apporto di fonte confidenziale da retribuire, sono state acquisite notizie secondo le quali sarebbe in atto da parte di alcuni esponenti politici la costituzione di un «Grande Centro», avallata da alcuni esponenti ecclesiastici del Vaticano. Al finanziamento di tale «POLO» sarebbero tra gli altri interessati il Matarrese Antonio e il Bersani Pierluigi. In particolare il Matarrese disporrebbe della somma di lire 670 miliardi depositata in diverse banche sia all'estero sia in Italia. Il denaro proverrebbe da pagamenti «in nero» elargiti da varie ditte nel corso di lavori effettuati per la ristrutturazione degli impianti sportivi, finanziati dallo Stato, in occasione dei campionati del mondo di calcio svoltisi nel 1990 e/o da altre attività non meglio specificate.12 Mancando una denuncia precisa firmata, Capaldo non iscrive alcun nome nel registro degli indagati. Che c'entra poi il presidente della Federcalcio Matarrese, ex parlamentare della Dc, gran estimatore di Giulio Andreotti, con presunte oscure trame finanziarie ordite con l'allora esponente del Pds Bersani? Matarrese è stato sempre un punto di riferimento per il mondo del calcio italiano, un «big boss» del pallone. Presidente della Lega Calcio dall'82 all'87 e subito dopo della Federcalcio sino al 1996,13 Matarrese siede come consigliere nel Comitato dei mondiali Italia '90 e parallelamente vive anche una lunga militanza nella Democrazia cristiana. Deputato dal 1976 per cinque legislature, è diventato dal 1992 un pioniere, un alfiere della costituzione del «Grande Centro», oggetto proprio delle curiosità degli investigatori della Finanza. Questo sino al 2003, quando i desideri centristi più ridimensionati lo portano comunque a essere eletto segretario provinciale dell'Unione dei Democratici cristiani e di centro di Bari.14 Ma è davvero troppo poco per attribuirgli alcunché. E appare davvero improbabile il coinvolgimento dell'allora diessino Pierluigi Bersani, piacentino di Bettola, all'epoca ministro dell'Industria del governo Prodi dopo aver ricoperto la carica di presidente della regione Emilia Romagna dal luglio del 1993 al maggio del 1996. Che c'entra un esponente dei Ds con il «Grande Centro»? Ma non sono i soli due politici. Nell'informativa compare anche il nome dell'avvocato Raffaele Della Valle, primo capogruppo di Forza Italia alla Camera, che poi lascia la politica per tornare alla propria professione. Della Valle si chiama fuori confermando però la presenza delle sirene della Santa Sede: «Noi cosiddette "colombe" di Forza Italia - spiega oggi - venivamo avvicinati da presunti emissari del Vaticano che ci corteggiavano e bussavano alle nostre porte per presentarci vescovi e cardinali. Il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro si dava un gran daffare».15 Chi invece ridimensiona queste manovre è Pisanu: «Non c'erano ispiratori esterni - commenta l'ex ministro -, né nella Chiesa cattolica italiana né nella gerarchia vaticana che sollecitavano la costituzione del "Grande Centro". Era un sentire comune dei moderati italiani. Nella gerarchia cattolica c'è sempre stata una certa diversità di accenti dovuta a esperienze e posizioni culturali diverse».16 Ma che c'entrano Matarrese, Bersani e Della Valle? «Alcuni nomi - riflette Capaldo - sembrano buttati là apposta per creare fumo e rendere poco credibile la vicenda».17 Il magistrato non vuole dire di più. Ma il riferimento è abbastanza chiaro: questi nomi altisonanti probabilmente sono messi lì apposta per incuriosire gli inquirenti, mentre è sugli attori di secondo piano che si apriranno scenari e collegamenti sorprendenti. Nella seconda parte la relazione si fa più approfondita. Il sistema descritto per far rientrare i capitali sarebbe abbastanza semplice: utilizzare lo lor e le banche straniere compiacenti per far tornare in Italia quelle somme da destinare in gran parte (il 75 per cento) al progetto del «Grande Centro», mentre il resto sarebbe diviso fra intermediari, banche e faccendieri. Sono quindi individuati coloro che «nell'organizzazione messa in piedi per riciclare denaro in franchi svizzeri e altre valute» giocherebbero un ruolo operativo di primo piano.