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SECONDA PARTE L'altra inchiesta. Il «Grande Centro» e i soldi della mafia La Chiesa sta divenendo per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere. Joseph Ratzinger, 1977 Sin qui le carte segrete di monsignor Dardozzi. Adesso un'altra inchiesta frutto di nuove e inedite testimonianze da cui emergono trame politiche e intrighi finanziari, con conti correnti intestati a politici e uomini della mafia. Soldi destinati a Totò Riina e Bernardo Provenzano. E per finanziare un nuovo partito di centro che potesse diventare punto di riferimento della Chiesa dopo la caduta della Democrazia cristiana. Il golpe porpora La Chiesa per tutti, tutti per la Chiesa La vittoria di Romano Prodi alle elezioni politiche dell'aprile del 1996 e i contrasti interni nel Polo delle libertà, che penalizzano la leadership di Silvio Berlusconi, fanno del '97 e '98 gli anni dell'Ulivo. Ma il panorama rimane ancora confuso, la moneta unica e il vento nuovo della seconda Repubblica non accelerano la ripresa del paese. Le «prove tecniche» di bipolarismo si sviluppano a fatica, visto che sull'elettorato moderato si allineano e scontrano gli appetiti di molti. Sul «centro» si sovrappongono infatti frammentarie iniziative politiche con l'obiettivo dichiarato di ripristinare il protagonismo dei cattolici, riaggregando le forze dopo la fratricida diaspora democristiana. Il grande mondo dei cattolici deve quindi tornare sulla scena della politica italiana dopo l'ammainabandiera del 1992-1993 con la rivoluzione giudiziaria e la stagione delle manette. Un'esigenza avvertita dall'elettorato e da chi arrivava dall'esperienza della Dc: «Nel 1994 con la discesa in campo di Silvio Berlusconi - ricorda oggi l'ex ministro Beppe Pisanu -, alcuni ex democristiani, come Pierferdinando Casini, Clemente Mastella e il sottoscritto fummo candidati nelle liste proporzionali di Forza Italia con l'impegno di confluire poi nello stesso gruppo parlamentare. I sorprendenti risultati elettorali misero noi cattolici in grado di costituire gruppi parla mentari autonomi avendo portato alla Camera più di venti deputati. Si aprì quindi una discussione: da una parte Francesco D'Onofrio, Mastella e Casini che puntavano al gruppo autonomo, mentre io sostenevo la necessità di restare in Forza Italia, l'unico partito che potesse diventare la maggiore forza di riferimento dei moderati italiani. Già all'epoca l'esperienza della Democrazia cristiana appariva storicamente conclusa. E inoltre si vedeva emergere la tendenza bipolare non solo nelle valutazioni politiche più mature, ma anche nell'atteggiamento degli elettori italiani. [...] Il voto cattolico si stava secolarizzando e ridistribuendo nell'uno e nell'altro schieramento».1 Non tutti però la pensano come Pisanu. La «discesa in campo» di Berlusconi non entusiasma quei cattolici che vedono nella Democrazia cristiana una bandiera non ammainabile, una garanzia di influenza e rappresentanza. Di valori soprattutto, ma talvolta anche di affari. «Nel gruppo cattolico prevalse un orientamento diverso - prosegue Pisanu - e si andò rapidamente verso la costituzione dell'Udc con l'idea di conquistare lo spazio politico ancora disponibile nel centro democratico. In realtà a me sembrava che il centro non costituisse più uno spazio politico circoscritto, ma soltanto un'area elettorale instabile, nella quale i due maggiori schieramenti si contendevano la vittoria elettorale. Quando anni dopo Marco Fol-lini la definì "terra di mezzo", io sostenni che si trattava semmai di un campo di battaglia». In quegli anni la fìtta rete sociale e di potere di quello che per mezzo secolo è stato il primo incontrastato partito politico italiano si frammenta in un processo d'inevitabile depotenziamento e successiva riaggregazione sotto nuove bandiere, dal Ppi di Gerardo Bianco, guardando a sinistra, al Ccd e Cdu dei «cugini» Pierferdinando Casini e Rocco Buttiglione, sino all'Udr di Francesco Cossiga nel 1998. Così le sirene della vecchia Dc ammaliano, provocano smottamenti, fronde interne nel Polo e soprattutto in Forza Italia. I cantieri aperti da movimenti, cor renti e partiti che sostengono di rifarsi a valori cattolici per raccogliere l'enorme eredità della Dc sono molti. A volte in contrasto tra loro, a volte alternativi, cercando di intuire e amplificare le difficoltà che le nuove forze politiche moderate, come appunto Forza Italia, incontrano dopo la sconfìtta elettorale del 1996. Roberto Formigoni è uno dei pochi democristiani doc a spostarsi, controcorrente, verso Forza Italia, ovvero un partito appena nato che raccoglie anime diverse, laiche, cattoliche, riformiste e liberali, con il leader e i suoi più stretti collaboratori, da Cesare Previti a Marcello Dell'Utri, sotto scacco giudiziario. In molti invece si prenotano per celebrare il funerale politico di Berlusconi. Dentro e fuori il centrodestra. L'imprenditore di Arcore viene visto come «intruso» dai «professionisti della politica», che sperano di chiudere questa fase di transizione tornando ai vecchi equilibri e giochi della casta. Casini e Buttiglione vanno avanti lanciando la costituente di un unico partito che vada oltre l'esperienza del Polo.2 Le posizioni appaiono sempre più nette, con Cossiga che detta la linea: «Il centro da costruire - afferma — dev'essere alternativo sia alla sinistra con l'Ulivo onnivoro, sia alla destra con il Polo amorfo».3 Buttiglione: «Noi non saremo la quinta colonna della sinistra, tranquilli. Solo che abbiamo il timore che in Italia si stia strutturando un sistema a un polo e mezzo: quello di sinistra che si organizza e vince, quello di destra che si organizza e perde». Per finire con Casini che liquida il Cavaliere: «Non più sole ma satellite tra i satelliti». Insomma la stagione del Polo è conclusa, i leader hanno fallito, andate in pace. E venuto il tempo che sia dato spazio a chi offre radici «giuste», che non affondano nel terreno delle ideologie postcomuniste o postfasciste.