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Ior, consorteria della Cariplo In quegli anni, come testimonia l'archivio Dardozzi, Caloia sta studiando un piano per ampliare le partecipazioni e l'influenza dello Ior sul sistema bancario italiano. Già alla fine del 1992, il presidente della banca del papa vuole giocare la prima mossa: aumentare la partecipazione dello Ior in Ambroveneto con un investimento consistente per entrare nel patto di sindacato e salire sul ponte comando. A sbarrare il passo intervengono però «ambienti vicini» a monsignor Dardozzi, forse l'Opus Dei, e soprattutto il professor Giovanni Bazoli in persona portando una serie di argomentazioni granitiche. Con una tesi che il commercialista Felice Martinelli riprende e rilancia per spegnere le ambizioni di Caloia:43 Le motivazioni del professor B. teoricamente sono valide e accettabili. Lo Ior nell'operazione prospettata non sarebbe un socio bancario nel vero senso del termine e mal si troverebbe nel sindacato di controllo; non ha una «missione» per portare avanti una sua politica o strategia di gestione, subirebbe decisioni prese da altri o altrove. [...] Sarebbe un socio passivo ma importante per essere strumentalizzato. Alla stampa si offrirebbe l'occasione per riprendere vecchie critiche. [...] Ior non è una banca ma un Istituto finanziario fiduciario, può fare investimenti in Italia come nel resto del mondo; l'operazione proposta potrebbe essere interpretata in questo momento come una rivincita. Un domani, quando l'immagine dell'Istituto all'esterno è completamente cambiata, può darsi che una simile operazione possa essere fattibile se inserita però in un più ampio, preparato e meditato quadro strategico. Oggi può essere vista come un aiuto alla persona del banchiere prof. B. o come puntiglioso desiderio di rientrare. Nell'interesse dello Ior e degli ambienti a noi vicini oggi non consiglierei l'operazione; starei ad aspettare tempi migliori. [...] Il riferimento è alle grandi manovre che porteranno nel 1997 alla fusione tra Cariplo e Ambroveneto per un riassetto degli equilibri nella finanza cattolica italiana. Ma sono anche anni di scontro per la guida delle Casse di risparmio, realtà per tradizione egemonizzata dagli ambienti cattolici che si riconoscevano in un'ormai disciolta Democrazia cristiana.44 Un esempio arriva nel gennaio del 1996, quando il banchiere cattolico Roberto Mazzotta ufficializza prima all'allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi e poi alla Commissione centrale della Cariplo le sue dimissioni dalla presidenza della «Fondazione della Ca' de Sass». Mazzotta lascia l'incarico dopo la condanna per corruzione a quattro anni di reclusione al processo per le tangenti nelle compravendite immobiliari della Cariplo. E una sentenza solo di primo grado, ma il banchiere si dimette comunque e da innocente: la Cassazione, ma solo nel 2001, lo assolverà definitivamente per «non aver commesso il fatto». Il Vaticano e la Curia di Milano giocano la loro partita per influenzare la nomina di un candidato che sia «gradito» ai sacri palazzi, soprattutto ben consapevoli del riassetto con Ambroveneto e della privatizzazione della Cariplo con la quotazione attesa per fine anno. L'addio di Mazzotta libera una casella importante nell'organigramma della finanza cattolica, che monsignor Dar-dozzi ridisegna nei suoi appunti. Da assegnare il posto di Mazzotta; vacante anche la direzione generale della Cariplo con Angelo Roncareggi in uscita dal dicembre del '95. Parte quindi un «risiko» tutto cattolico che investe anche il Vaticano, seppur senza alcun formale titolo, per le nomine tra Mediocredito, Cariplo e Ambroveneto. Anche perché il monsignore, consigliere di Sodano, nota come Caloia stia già fremendo: «Ha appetito per ritornare alla fondazione; i consiglieri non lo vogliono».45 Dardozzi si muove su due livelli. Prima avvia delle consultazioni. In agenda, si segna di chiamare chi conta: Pontiggia, Bazoli, Testori, monsignor Erminio de Scalzi e Giovanni Battista Re. Ma soprattutto il riservatissimo Giuseppe Camadini, presidente della Cattolica assicurazioni e «fiduciario di mille istituti religiosi azionisti della Banca lombarda». Camadini, un banchiere da sempre in assoluto silenzio, persino contrapposto dalla stampa a Bazoli nel contendersi la regia della finanza bianca. Uno che Pietrangelo Buttafuoco descrisse così: «Non compare, non appare, forse non esiste più, quando cammina non proietta nemmeno l'ombra».46 Poi, per le attività più operative, Dardozzi dialoga con «don Luigi Testori», come si legge nei suoi appunti, che potrebbe corrispondere a monsignor Testore, all'epoca segretario del cardinale Carlo Maria Martini. A lui si rivolge, segnalando che «occorrono altre candidature», quando viene a sapere che si libera anche la direzione generale del Mediocredito, con Giovanni Malvezzi «in scadenza il 30 aprile 1996».47 Da Milano arrivano risposte che lo tranquillizzano. Per sostituire Mazzotta e sostenere «la soluzione interna di Ottorino Beltrami», dal 1992 presidente e già numero uno di Assolombarda, il cardi nale «Martini farà "interessare" don Luigi». Ed è la partita che interessa davvero a Dardozzi, visto che non sembra spendersi più di tanto per la poltrona di direttore generale della Cariplo; evita infatti di inserirsi nelle trattative tra le varie anime di ex Dc, l'allora sindaco Marco Formentini e gli interlocutori meneghini. A metà febbraio del 1996 la direzione generale di Cariplo finisce a Carlo Salvatori, amministratore delegato di Ambroveneto, operativo dal primo giorno dopo la fusione con la Banca cattolica del Veneto. Dardozzi è acuto osservatore e applica la delega a seguire le mosse di Caloia. Comprende ben presto che questa partita può avere riflessi anche sullo Ior e così decide, come al solito, di informare il suo più autorevole riferimento, ovvero il segretario di Stato Angelo Sodano: Da informazioni riservate e autorevoli da Milano si è saputo che il dottor Angelo Roncareggi, direttore generale della Cariplo, preconizzato alla carica di direttore generale del Mediocredito Lombardo, non è risultato gradito a una parte dei consiglieri della Cariplo stessa e quindi la sua candidatura per il Mediocredito lombardo è bocciata. Egli andrà quindi in pensione nei prossimi giorni. La circostanza risulta molto gradita al prof. Caloia che da sempre aveva auspicato di chiamare un funzionario della Cariplo e suo personale amico alla direzione generale dello Ior al posto di Scaletti, al quale il presidente ha ribadito recentissimamente che dovrà lasciare l'incarico al più tardi da marzo 1997. L'insieme delle informazioni raccolte, da me non sollecitate, crea qualche sospetto perché si viene a capire che lo Ior diventa una specie di succursale di Cariplo, una consorteria... In tal modo la consorteria non potrà che operare non controllata e si spera in modo non arbitrario. [...] La realtà, l'importanza e l'obiettività delle informazioni sollecitano la tempestiva loro presa di conoscenza da parte dell'Em.mo segretario di Stato.48 Si tratta di mosse assai illuminanti che spiegano i giochi e le congiure che si consumano nei sacri palazzi e che si riflettono nei delicati e complessi rapporti con la realtà bancaria italiana. Mosse sia per influenzare impropriamente nomine in istituti di credito come appunto Cariplo, feudo della finanza bianca benché non veda tra gli azionisti il Vaticano, sia, al contrario, per stroncare ingerenze esterne nell'attività delle Santa Sede. E il caso di quelle laiche, seppure amiche, che Dardozzi illustra nella bozza di lettera a Sodano. Si tenta quindi di condizionare ma non si vuole essere condizionati. Si vuole influenzare le scelte su manager di banche italiane, e infatti Beltrami verrà puntualmente eletto presidente della «Fondazione Cariplo» nel marzo del 1996, ma scatta l'allarme rosso al solo rischio che Caloia chiami il direttore generale della «Ca' de Sass» Ron-careggi allo Ior. A fronte poi di un altro problema generale che Dardozzi ben tratteggia in ogni sede: «I clienti dello Ior, che nella totalità sono religiosi o istituzioni religiose, scelgono come referente lo Ior piuttosto che una banca qualunque se e nella misura in cui soltanto lo Ior può rispondere alle loro esigenze di riservatezza». È di sicuro questo un argomento vincente. Nessuno, nemmeno il potente Caloia, riesce a smuovere Scaletti. Che rimane al suo posto per altri undici anni, sino al giugno del 2007, quando, giunto alla veneranda età di ottant'anni, lascia il posto al vice Paolo Cipriani. La riservatezza sui conti dei religiosi dev'essere totale: è la prima regola aurea perché ai fedeli non giungano voci o semplici cattiverie sui movimenti finanziari che alimentano la premiata holding d'Oltretevere.