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Processo Usa al Vaticano La Santa Sede, nel documento d'accusa del maggio 2002 della corte di Jackson, viene invece citata per aver condotto a fini di frode «attività commerciali private, non sovrane e secolari, non religiose».22 La corte americana chiede al Vaticano di risarcire i danni, la cifra ipotizzata dall'accusa non è inferiore ai 208 milioni di dollari. Nel 2002 cinque Stati americani avviano quindi una causa per risarcimento danni contro il Vaticano, sostenendo che quest'ultimo è coinvolto nella truffa assicurativa costata loro 200 milioni di dollari. In sintesi, secondo le commissioni Frankel ha usato la Chiesa cattolica come paravento per la sua truffa, organizzando il versamento di 55 milioni di dollari al Vaticano come iniziativa di carità attraverso la «St. Francis of Assisi Foundation». Tra il '90 e il '99 il finanziere avrebbe organizzato varie frodi agli Stati, compresa la creazione di false compagnie assicurative, con l'aiuto di Colagiovanni che lo ha introdotto in Vaticano. Stando alle accuse del Mississippi, riportate dal «Wall Street Journal», la Santa Sede, nell'appoggiare Frankel nelle sue operazioni di acquisto, avrebbe dato vita ad attività commerciali negli Usa non legate alla sua presenza religiosa. Nel maggio 2002 il Vaticano si difende, smentendo tutta l'accusa. Le due fondazioni sono esterne al Vaticano. All'epoca dei fatti Colagiovanni è un sacerdote pensionato, non esercita più alcun incarico presso la Santa Sede e ha agito come privato cittadino italiano, mentre il reverendo Jacobs è sospeso a divinis fin dal 1983. Infine, il Vaticano non ha avuto né dato soldi alle due fondazioni, anzi fornisce subito tutte le informazioni di cui dispone alla corte del Mississippi. Ma nel 1999, all'epoca dei fatti, secondo quanto ricostruito in diversi approfondimenti,23 Colagiovanni è ancora un prelato della Curia romana, membro del Collegio dei prelati uditori del Tribunale della Sacra Rota, consultore di due Congregazioni vaticane e membro della Commissione speciale per la Trattazione delle cause di nullità della sacra ordinazione e di dispensa dagli obblighi del diaconato e del presbiterio, infine, anche docente di deontologia giudiziaria presso lo Studio rotale. I processi, già nel marzo del 2006, danno comunque ragione alla Santa Sede: non ha responsabilità per l'agire del singolo monsignore. Cade l'iniziativa pilota di George Dale, all'epoca commissario assicurativo del Mississippi che accusa la Santa Sede di complicità. I risarcimenti che arrivano all'inizio del 2008 sono tutti provenienti dal tesoro del faccendiere Frankel che vede finire all'asta su eBay persino la sua collezione di diamanti. La Chiesa è salva ma è evidente che per la prima volta il Vaticano rischia di essere chiamato a processo per responsabilità dei suoi ministri. Gli altri due erano Lanfranco Gerini e Franco Spreafico. Tra l'altro, Martinelli, docente associato e membro del Consiglio d'amministrazione dell'Università Cattolica di Milano, insieme a Caloia nei Cda dell'Opera Don Gnocchi e della Cattolica Assicurazioni, è stato una delle ultime persone ad aver visto l'avvocato Giorgio Ambrosoli in vita. Qualche anno prima Martinelli aveva avuto invece un incarico di consulenza dal giudice che indagava sull'operato della banca di Sindona. La Banca d'Italia aveva già nominato come commissario liquidatore della Bpi l'avvocato Giorgio Ambrosoli, ucciso da un killer una notte del luglio 1979. «La sera del suo omicidio avevo avuto un incontro con Ambrosoli per mettere a confronto quello che stava emergendo sulla vicenda -dice Martinelli -. Abbiamo lavorato insieme fino all'ora di cena. Poi la tragica fine. Questa storia mi ha fatto venire i capelli bianchi.» Fabio Sottocornola, «Il professore commercialista tra Bach e bilanci», in «Il Mondo», 26 maggio 2006. 2 Il diario costituì la miccia dell'inchiesta sui cosiddetti «palazzi d'oro», condotta dalla Procura di Roma e dall'allora colonnello della Guardia di finanza Niccolò Pollari. L'indagine decapitò la giunta Carraro. Tra gli indagati c'era anche Claudio Merolli, sottosegretario alle Finanze nel settimo governo Andreotti, fedelissimo di Giulio e coinvolto per un appunto del 13 febbraio 1990, nel quale il marchese lo indicava come destinatario di tangenti in cambio della vendita al ministero delle Finanze di palazzi di Gerini all'Eur per 171 miliardi. Merolli chiedeva il 9 per cento e venne accontentato ricevendo il saldo della mazzetta dopo la morte del marchese dalla «Fondazione Gerini» con l'ultima tranche nel luglio del 1991. 3 Il decreto del ministro dell'Interno del 10 maggio 1994 autorizza la fondazione ad accettare l'eredità: «Secondo l'inventario del notaio Pietro La Monica aperto in data 23 luglio 1990 e chiuso in data 8 novembre 1990 formano oggetto dell'eredità beni mobili (mobilia, arredi, quadri e oggetti vari, oggetti d'arte, titoli, depositi bancari, macchine agricole e di scorte e partecipazioni in società) per un valore di complessive lire 201.660.324.568 nonché i seguenti immobili siti nei sotto elencati Comuni: in comune di Roma: terreni e fabbricati nelle località Caffa-rella, Roma Vecchia, Acquasanta, Olivetaccio, Torre Spaccata, Cecchi-gnola, Falcognane, Pietralata, Quartaccio di Ponte Galeria, Fiumicino, Vannina (Ponte Mammolo), Monte Olivano (o Monte Tondo); due appartamenti e due negozi in via Gregorio VII; un appartamento in via Ciro Menotti; un casale in via Portuense; due campi da tennis in via Ciamarra. In comune di Velletri (Roma): terreno in località Faiola. In comune di Umbertide (Perugia): terreni in località Collemari. I suddetti immobili sono descritti nella perizia giurata 3 ottobre 1990 [...] e valutati complessivamente lire 220.036.650.000». Ma non si trattava certo di una valutazione di mercato che per taluni andava riferita persino a duemila miliardi. In realtà la stima assai prudenziale sui soli beni immobiliari effettuata dall'Ute (Ufficio tecnico edile) nel 1993 indicava in 800 miliardi il valore del cespite. 4 Sulla figura di Gerini vale l'affresco di Pierangelo Maurizio nel suo «L'ultima beffa del costruttore di Dio, muore e lascia 1500 miliardi», pubblicato da «la Repubblica» il 24 giugno 1990: «Don Alessandro Gerini, uno degli uomini più ricchi d'Italia, senatore democristiano per due legislature, morto pochi giorni prima di compiere novantatré anni, lascia un immenso patrimonio. Immenso quanto? Diffìcile dirlo, con precisione. Secondo alcune stime ammonterebbe a un cifra oscillante tra i 1300 e i 1500 miliardi. Una somma per difetto, naturalmente. Un'indagine del Cnr lo scorso anno ha attribuito alla proprietà Gerini 927 ettari, concentrati soprattutto a Roma. Ma l'impero messo in piedi da don Alessandro comprendeva partecipazioni in finanziarie, come la Brioschi, decine di società, una rete di prestanome. Senza contare i terreni che valgono quattro milioni di metri cubi del futuro Servizio direzionale orientale e le aree che al termine di estenuanti battaglie legali sono diventate o stanno per diventare edificabili, con un aumento di valore impressionante.