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I miliardi di Lumen Christi Come in qualsiasi altra banca, anche allo Ior si possono presentare clienti quantomeno equivoci. Con un'unica eccezione rispetto agli istituti di credito italiani: quasi tutti indossano l'abito talare. Rimane esemplare e dai toni quasi surreali la storia completamente inedita del reverendo Domenico Izzi, sacerdote italiano naturalizzato argentino, fondatore del movimento ecclesiale Lumen Christi che s'ispira ai principi del Concilio Vaticano II. Forse per la prima volta nella storia della banca del papa, un semplice sacerdote riesce a ottenere prestiti per ben 6,1 milioni di dollari per finanziare stravaganti progetti e poi sparire nel nulla. Classe 1943, nativo di Terranova di Pollino, paesino in provincia di Potenza, ordinato presbitero nel 1974, trasferitosi poi in Argentina, Izzi si presenta nel 1991 allo Ior esibendo documenti ecclesiali che lo indicano come «fondatore e superiore del movimento Lumen Christi» in America Latina. Ancora oggi in Vaticano Izzi è considerato un sacerdote brillante, capace di ammaliare con i suoi discorsi. Sa convincere. E così batte cassa. Chiede tutti quei soldi «per svolgere un'attività di esportazione di prodotti zootecnici dall'Argentina, nonché un servizio di trasporti a mezzo elicotteri dall'aeroporto di Buenos Aires e l'organizzazione di una lotteria nazionale».14 Che non siano attività per opere di bene né proprie di un sacerdote è magari superfluo sottolinearlo, ma Izzi insiste. Indica i proventi dell'improbabile lotteria nazionale sudamericana e del noleggio di elicotteri civili per «provvedere alle necessità conseguenti le attività del movimento Lumen Christi nel settore della propagazione della Fede» in Argentina, Uruguay e anche Italia. Insomma, per diffondere la parola di Dio. Tanto che il movimento ha già ricevuto il 17 ottobre 1990 la condizione nihil obstat dalla Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata. I prestiti vengono concessi dall'al-lora direttore Andrea Gibellini. Erogati in ventiquattro ore. Per rientrare con scadenza dodici e ventiquattro mesi, ovvero giugno 1992 e 1993. Alle scadenze Izzi non rimborsa nemmeno un centesimo. Partono i primi solleciti. Niente. Lumen Christi per prendere tempo costituisce in pegno il 76 per cento dell'immobiliare Orprela Fin Srl, proprietaria di due appartamenti a Roma. In Vaticano si tranquillizzano. Ma solo per poche ore. Le case risultano gravate da ipoteche con rate arretrate da pagare. Insomma, non se ne esce. In quella che assomiglia sempre di più a una caccia all'uo mo, anzi al debito, Caloia coinvolge la Nunziatura apostolica in Argentina, contatta monsignor Ubaldo Calabresi, «senza però ottenere notizie o informazioni utili e confortanti». Così il debito lievita con gli interessi a 8 milioni e 242mila dollari al 30 giugno 1995. Allo Ior sono pessimisti e prevedono di veder sfumare una fortuna.15 Caloia non si dà per vinto. Nel settembre del 1995 chiama lui stesso padre Izzi e lo sollecita a saldare il dovuto. Il sacerdote cortese, gentile «assicura la sua ferma volontà di onorare il debito immediatamente»,16 ma è un bluff. A fine novembre 1995 Caloia informa ufficialmente della vicenda il presidente della Conferenza episcopale argentina, il cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires, al quale sottopone l'entità del debito di padre Izzi. Ma la risposta del vertice della Conferenza episcopale è desolante. Nella lettera del segretario generale del 18 dicembre 1995 si legge: In particolare, sia il cardinale sia i signori vescovi della Commissione permanente dell'episcopato argentino si chiedono come sia stato possibile prestare una somma così tanto grande di denaro a un sacerdote senza garanzie o almeno la conoscenza della sua missione. Il cardinale suggerisce di realizzare un'opportuna investigazione su altri beni che il sacerdote potrebbe possedere. Di fronte a questa risposta Caloia non esita più. Informa la Commissione cardinalizia presieduta da Castillo Lara, lo stesso Izzi, Calabresi e il cardinale Quarracino di dover «promuovere le necessarie azioni giudiziarie e legali presso il Tribunale vaticano onde ottenere il recupero di somme che la Chiesa universale non può permettersi di perdere a fronte delle sue pressanti e vaste esigenze». Anche questo segnale non viene raccolto. Silenzio assoluto.17 Così, a fine marzo del 1996, l'avvocato Carlo Tricerri, «promotore di giustizia» della Santa Sede, una sorta di pubblico ministero, avvia l'inchiesta. L'istruttoria di Tricerri non è facile: «Coinvolsi anche la gendarmeria pontifìcia - ricorda oggi l'avvocato, andato in pensione dopo la strage del 6 maggio 199818 - che andò nella sua abitazione romana per cercare qualche traccia, qualche indizio più preciso circa queste fantomatiche operazioni in Sudameri-ca. A un certo punto si propose una transazione con una banca argentina ma non credo che l'offerta sia stata accettata dallo Ior. La banca, da quanto mi risulta, non ottenne indietro la somma. Né Izzi mi ha mai liquidato l'onorario come invece avrebbe dovuto». Il debito era così lievitato a oltre 8 milioni e 700mila dollari. Per qualche anno di Izzi si perde ogni traccia. Sparito. Alcuni dicono che sia rientrato in Argentina. Altri che preferisce non farsi rintracciare. In realtà, abbandonati elicotteri e lotterie, nel 2000, ancora con il Lumen Christi lavora per il Giubileo secondo la dottrina del suo movimento e avvia un centro di studi filosofici e teologici per studenti sudamericani a Roma. Agli inizi del nuovo millennio si trasferisce nell'originaria Basilicata creando una comunità autogestita a Casa del Conte. Una sorta di agriturismo con alcuni diaconi in una fattoria vicino al Santuario di Anglona e Tursi. Qui, nel marzo del 2003, nella cattedrale dell'Annunziata il vescovo di Tursi-Lagonegro, Francescantonio Nolè, ordina presbiteri tre giovani dell'Università gregoriana di Roma, ragazzi che Izzi aveva conosciuto e coinvolto nei suoi progetti. L'anno dopo si aggiudica il premio «Italia nel mondo». Lo scontro e il debito con lo Ior? Ormai sono alle spalle.