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Quei Cct nascosti Così la risposta alla rogatoria, il 13 dicembre, è finalmente pronta per partire alla volta di Milano. Alla fine si è deciso di rispondere sugli 88,9 miliardi e di aggiungere Cct per altri 14,6 miliardi come impongono i conteggi per la congruenza degli importi. Celando almeno quattro depositi effettuati tra il gennaio e l'ottobre del 1991 per altri 8,5 miliardi di certificati monetizzati sui conti «Spellman», «san Serafino» e «Jonas Foundation». Caloia nella risposta ai giudici è telegrafico. In dodici righe sintetizza la tesi ormai concordata: Bisignani ha consegnato tutti i Cct, dai conteggi risulta che a parte gli 88,9 miliardi lo Ior ha trattato titoli per altri 14,6. I soldi sono finiti tutti su conti esteri con dodici bonifici. In allegato due liste «depurate», assai meno complete rispetto alle iniziali versioni. Persino i nomi di chi ha trattato queste tangenti all'estero vengono omessi. E un colpo da maestri. Sui giornali la Chiesa esce dallo stallo ricavandone una lodevole figura. Si parla di «glasnost vaticana»: «Per la prima volta lo Ior - scrive Gianluca Di Feo sul "Corriere della Sera" il 22 dicembre 1993 - collabora con la giustizia italiana e consegna i documenti riguardanti i 93 miliardi della maxitangente Enimont. La breccia a Porta Pia... Un miracolo insperato». Al presidente della Commissione di vigilanza, il cardinale Castillo Lara, viene affidato il compito di rilasciare interviste. Si dichiara «molto soddisfatto per la serietà dell'operazione e la grande trasparenza. Abbiamo collaborato con l'autorità giudiziaria italiana senza reticenze». E, ovviamente, scarica tutto sul gruppo di Ravenna. I Ferruzzi? «Siamo stati strumentalizzati e usati. Oggi siamo oggetto di una campagna denigratoria.»28 Quasi ogni giorno Castillo Lara cerca di far passare lo Ior per vittima, afferma che nessuno sapeva che quei soldi fossero fondi Montedison o peggio mazzette,29 si pensava a beni personali dei coniugi Sama: I Ferruzzi avevano usato lo stratagemma di far passare la somma come un fondo destinato ad opere di bene, utilizzando la clausola del regolamento interno secondo la quale basta anche che soltanto gli interessi siano vincolati a fini caritativi. Compiacenze interne ci sono certamente state, ma allo Ior replicano che un conto è il «piacere» di consentire un deposito, un conto era la finalità complessiva dell'operazione Ferruzzi, che nessuno poteva sapere. Fatto sta che i funzionari sono stati rapidi a fornire ai loro superiori ogni elemento.30 E de Bonis? Magari rischia qualcosa per la giustizia italiana? «Non ha violato nessuna legge - risponde candido sempre Castillo Lara -, sono sicuro non sospettasse il vero utilizzo di quei fondi. Tra l'altro all'epoca dei fatti era funzionario di un ente centrale del Vaticano e quindi non perseguibile da uno Stato straniero per l'esercizio delle sue funzioni.»31 Il messaggio è chiaro: l'articolo 11 dei Patti Lateranensi, ci fosse qualcuno che lo ha dimenticato, ritaglia un'immunità speciale a tutti i dipendenti di organi centrali della Santa Sede. Marcinkus docet. Fare chiarezza All'interno delle mura leonine, invece, chi per amor di verità, chi per giochi interni, aumenta il fronte di chi vuole che venga fatta reale chiarezza. Così de Weck, vicepresidente dello Ior spalleggiato dal consigliere Theodor Pietzker, direttore della Deutsche Bank, già pupillo del banchiere Hermann Abs, chiede una ricostruzione di quanto avvenuto. Il 23 dicembre manda un'infuocata lettera confidential a Caloia, segnata da ben diciotto punti interrogativi con altrettante imbarazzanti domande sull'affaire Enimont e sulle fondazioni dello Ior parallelo: chi ne conosceva l'esistenza? Chi ci ha guadagnato? Quali meccanismi portavano alla costituzione di queste fondazioni? Il venezuelano Castillo Lara suggerisce un processo interno. Vuole che siano interrogati de Bonis, l'ex direttore generale Bodio, i funzionari dello Ior, ma Sodano lo convince che aprire un procedimento interno determinerebbe conseguenze imprevedibili. Anche perché il Vaticano è ancora, ogni giorno, sui giornali con un incredibile scaricabarile. Carlo Sama indica in 9 miliardi la somma incassata dallo Ior per pulire i soldi Enimont, Bisignani dopo tre mesi di latitanza rientra e riempie pagine di verbali: «I soldi dei Ferruzzi? Non pensavo fossero tangenti ma riserve». I colpi di scena non sono finiti. La vicenda Enimont si trasforma in un incubo a puntate che angoscia i sacri palazzi. In quelle settimane la Guardia di finanza individua infatti altri 3 miliardi di Cct provenienti dalla provvista Bonifaci e «puliti» nella banca vaticana, rispetto agli 88,9 miliardi già contestati. Bisogna rifare quindi i conteggi. Confrontandoli con quelli appena indicati nella risposta alla rogatoria, i magistrati arrivano a dimostrare che tra gennaio del 1991 e fine marzo del 1992 allo Ior vengono monetizzati titoli per oltre 107,5 miliardi di lire.32 Qualcosa non quadra. La Procura di Milano subodora che la risposta ricevuta sia parziale. Il 20 dicembre 1993 i magistrati mandano nuove rogatorie in Svizzera e Lussemburgo per incrociare le informazioni. Anche perché con i nuovi Cct in entrata per 107,5 miliardi non tornano più nemmeno le uscite dei dodici bonifici che si fermano a «soli» 93,7 miliardi. All'appello dei giudici mancano quindi 13,8 miliardi. A questo punto sia i magistrati del processo Cusani, giunto ormai alla conclusione a Milano, sia la Procura vogliono sapere dove sono finiti questi soldi. A metà gennaio del 1994 partono così altre due nuove rogatorie per il Vaticano. Il presidente del collegio del processo Cusani, Giuseppe Tarantola, chiede «se il controvalore dei titoli negoziati sulle banche estere indicate nell'elenco allegato alla risposta alla rogatoria comprenda tutti i titoli consegnati da Bisignani o solo quelli elencati dalla Procura di Milano». Ovvio, si tratta solo di quelli indicati dalla Procura. Ma Tarantola non riceverà mai questa risposta. Le nuove e ulteriori richieste creano malumori nel mondo cattolico. A sorpresa «Vita pastorale», il mensile dell'editrice cattolica san Paolo indirizzato ai sacerdoti italiani, sollecita chiarezza: «Ogni membro del popolo di Dio - si legge nell'editoriale - ha il diritto-dovere di capire i vari aspetti della faccenda (miliardi Enimont), distinguendo le diverse responsabilità, per dare, come si suol dire, a ciascuno il suo». «È uno stillicidio», s'inviperisce Grande Stevens, che prende carta e penna e gira a Dardozzi una prima bozza di risposta alla nuova rogatoria «nella linea di volontà giustamente espressa dalla Santa Sede di non opporsi e collaborare alla ricerca della verità».33 Ma Grande Stevens ormai non trattiene l'amarezza. «Non ti nascondo che questo stillicidio di notizie e di episodi non giova - afferma - all'immagine dell'Istituto. Sarebbe opportuno organizzare un sistema efficace di controllo generale e chiedere che si riferisca su tutte le operazioni passate che possono dare adito a sospetti».34 L'avvocato sollecita quindi un nuovo incontro chiarificatore con de Bonis perché riveli tutte le operazioni segrete. Invano. Non basta infatti la riorganizzazione della banca per far emergere lo Ior parallelo in tutte le sue articolazioni. Sebbene le dimensioni o, almeno, i margini della «creatura» del prelato fossero noti dal marzo del 1992, le prime contromisure operative per garantire un controllo capillare sulle attività della banca vengono messe in atto nell'inverno del 1993, dopo il via all'integrale informatizzazione dell'Istituto.