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Risposte su misura ai magistrati In Vaticano la verità non è mai una sola. Nemmeno sui numeri. E dai documenti che sono custoditi nell'archivio Dardozzi emerge che alcuni uomini della Santa Sede assumono e portano avanti un atteggiamento omissivo nei confronti dei magistrati. Così, rispetto all'ampia collaborazione promessa e pubblicizzata sui giornali, ci si limita a riferire soltanto quanto non può più essere nascosto. Senza indicare le reali somme dei Cct ricevuti e collegati alla tangente Enimont che è ben più cospicua di quanto scoperto dalla Procura. Il primo passo viene deciso subito. Con una bugia per proteggere il monsignore, si ridimensiona fortemente il ruolo dell'ex prelato. Non si sosterrà infatti che è stato de Bonis a portare i titoli in banca, a gestire accrediti e bonifici, esponendo il Vaticano a mille problemi. Si ridurrà la sua responsabilità addebitando l'operato a Bisignani. In pratica si affermerà che l'uomo dei Ferruzzi portava allo Ior i titoli, mentre dalle cedole risulta che era proprio l'allora prelato a gestire in prima persona ogni fase della monetizzazione apponendo le firme sulle ricevute. Bisogna poi sovrapporre la lista titoli alla lista bonifici facendole combaciare alla perfezione. Gli importi non coincidono. Bisogna indicare altri gruppi di Cct dello Ior parallelo senza destare sospetti. Sulle somme da indicare in quei giorni si sprecano le bozze della risposta da fornire ai magistrati. Per non aumentare la confusione, vengono persino numerate in progressione con le lettere dell'alfabeto (a, b, c...). Fino all'ultimo non ci si decide su quanti e quali Cct indicare. Si compie un'ulteriore faticosa scrematura: dei 62,7 miliardi di Cct in più, ben 34,9 miliardi sono costituiti da certificati con numeri assai sospetti. Come nasconderli? Il 6 dicembre monsignor Dardozzi teme che la situazione precipiti. Da Milano arrivano brutti segnali: «Achtung! - si legge in un appunto manoscritto - Di Pietro attende (o meglio non attende) fino al 13». Così accelera: alle 18.40 consegna a Sodano «la bozza di lettera del professor Caloia al professor Ciprotti concordata con l'avvocato»,19 ovvero la missiva per il presidente del Tribunale vaticano, delegato a rispondere ai giudici milanesi, studiata con Grande Stevens. Alla missiva è allegata la tabella con gli estremi degli undici bonifici compiuti dallo Ior all'estero: «Salvo suo diverso avviso questa lettera con tabella allegata verrà consegnata in via informale al professor Ciprotti per una prima visione il 7 dicembre». Sodano studia il documento e alle 20 dà a Dardozzi l'ok definitivo per telefono: «Andate avanti».20 L'indomani s'incontrano tutti dal segretario di Stato. Ma si tratta di una falsa partenza. Tra i Cct consegnati dalla Procura e i bonifici partiti per i politici le somme ancora una volta non coincidono. E quindi necessaria una seconda cernita per indicare altri Cct non presenti nella rogatoria. Non tutti, ma almeno una parte di quei titoli che per altri 34,9 miliardi imbarazzano chi gestisce la vicenda in Vaticano e che rimandano direttamente alla tangente Enimont. Un ulteriore e definitivo filtro porterà a 23,1 miliardi la somma monetizzata da Bisignani e de Bonis di Cct «dello stesso tipo» da comunicare ai magistrati. In particolare Dardozzi e Caloia si accorgono che a partire dal luglio 1991 salta la corrispondenza tra i numeri progressivi delle entrate di certificati e quelli dei bonifici. Dardozzi passa un'intera notte sui fogli. Riformula i conteggi e trova la soluzione: I progressivi di cui trattasi potrebbero essere resi congruenti, introducendo una parte dei Cct non in rogatoria: per esempio lire 14.620 milioni del mese di giugno 1991 (come da documenti Ior), su un totale di 23.170 effettivamente presentati (non in rogatoria). In tal modo i due totali delle entrate dei Cct e dei bonifici risultano rispettivamente: 103,6 miliardi (nominali) pari a circa 107,0 di ricavi mentre le uscite 96,6 miliardi. Il delta di circa 10 miliardi di differenza può essere giustificato in due modi: o con una giacenza presso lo Ior di 10 miliardi (in conto Bonifaci) oppure con altrettanti ritiri di contanti (da parte di Bisignani) come effettivamente risulta.21 Siamo vicini al compromesso. Indicare tuttavia una disponibilità di Bonifaci viene considerato incerto per lo Ior; potrebbe aprire nuovi scenari, potrebbe lasciare un varco per scoprire l'attività della banca: «L'esplicitazione di 10 miliardi in Cct presentati da Bonifaci espone quest'ultimo a tutte le implicazioni presenti e future. Mentre garantisce la credibilità della risposta, mette in evidenza l'esistenza di "giacenze" (conti?) presso l'Istituto».22 Esistenza che potrebbe suscitare ulteriori accertamenti e rogatorie. È quindi più sicuro indicare prelievi in contanti: una risposta definitiva che spegne ogni curiosità. Per far collimare alla perfezione le somme con le date vengono fatte alcune prove. In bozza vengono quindi individuati e aggiunti in ingresso Cct per altri 14 miliardi e in uscita i bonifici lievitano, passano da undici a dodici. Si lavora sette giorni su sette. Ma è l'incontro della domenica del 12 dicembre 1993 tra Dardozzi e l'avvocato Grande Stevens, a seguito di un'udienza del giorno prima alla segreteria di Stato, quello che rende operativa la scelta omissiva. Il monsignore riporta infatti al penalista le perplessità che ancora incontra in Vaticano sulla necessità di indicare i certificati non elencati in rogatoria. Perché dare alla Procura notizie in più, magari aprendo nuovi fronti? Il professionista è assai esplicito. Nell'incontro non si accenna a nobili motivi di trasparenza. La scelta appare obbligata: L'avvocato mi conferma - scriverà Dardozzi - che è necessario aggiungere un numero di certificati non in rogatoria pari al valore che renda congrua la somma progressiva delle entrate con la somma progressiva dei bonifici: a luglio 1991, senza una parte (14.620 milioni) dei Cct non in rogatoria, la somma progressiva a quella data delle Entrate sarebbe notevolmente inferiore a quella dei bonifici.23 Per questo, rispetto alle bozze sinora stilate, bisogna riformulare anche «l'elenco dei bonifici opportunatamente variato nell'ultima colonna (destinatari) e contenente un altro bonifico (che nella serie cronologica sarà il primo)».24 Insomma, è indispensabile inserire un bonifico estero che fino all'ultimo si era nascosto. E proprio quello da 2.212.000 dollari effettuato il 23 gennaio 1991 alla Trade Development Bank di Ginevra in favore del conto FF 2927 dal deposito «Fondazione Spellman». Per la Procura quei soldi erano destinati a esponenti della Dc romana vicini ad Andreotti, come Vittorio Sbardella e Giorgio Moschetti, fino a quando l'agente di cambio Giancarlo Rossi non testimoniò, nel giugno del 1994, di aver gestito quei fondi direttamente per conto di Bisignani, sollevando da ogni responsabilità i politici di riferimento di Andreotti su Roma.25 Sul punto Dardozzi ha conservato in archivio alcune note dal contenuto criptico: «Piccolo uccello (da Grande 30/12/93) Teal onle Moschetti - cognato di Sbardella» e ancora: «Piosel-li (!) (cf Gibellini) - Andreotti - Chicco». I bonifici passano così da undici a dodici. Nell'archivio Dardozzi i documenti sono eloquenti. Nella prima risposta informale al Tribunale vaticano del 9 dicembre i bonifici sono undici; due giorni dopo, lo stesso elenco nella nuova missiva è appunto arricchito di un ulteriore mandato di pagamento. Ai Cct della Procura è invece necessario aggiungerne altri per 14,6 miliardi pur di formulare una risposta congrua seppure incredibilmente omissiva e parziale. Viene invece subito cassato il documento «Bozza, IV versione» nel quale si indica che «Bisignani ha presentato altri titoli della stes sa specie per nominali 23,170 miliardi». La bozza finisce nel cestino. Alla Procura di Milano sale il nervosismo. Sono ormai due mesi che è partita la rogatoria e non è ancora arrivata nessuna risposta. Di Pietro telefona due volte in Vaticano e cerca persino di aprire un canale personale, al di là delle attività inquirenti. L'11 dicembre il pubblico ministero chiama lo Ior e preannuncia la sua prossima venuta a Roma. Stando agli appunti di Dardozzi, dice che «potrebbe egli stesso ritirare la proposta».26 Sempre nell'incontro domenicale del 12 dicembre, Dardozzi chiede lumi su questo atteggiamento a Franzo Grande Stevens, che non si stupisce: «Milano ha urgenza di avere la risposta che conviene inoltrare quanto prima».27 Il 16 dicembre sarà Caloia a raccontare a Sodano che «Di Pietro ha contattato il dottor Gibellini, una volta di più per il tramite di presunte vicinanze abitative e soprattutto di conoscenze (non so quanto previe!) tra le signore. Il pm ha fatto rimostranze perché non vede ancora nulla. Sono stati fatti passi per concordare incontri conviviali». Ma Gibellini viene subito stoppato: con Di Pietro non bisogna incontrarsi.