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S'indebolisce quindi l'ipotesi, pur sempre sostenibile, che l'allora prelato dello Ior possa aver depositato i soldi sul conto «Spellman» a insaputa di Andreotti, per tornaconto personale, per depistare controlli e curiosi. Un ardito escamotage per assicurarsi le necessarie protezioni una volta scoperto. La gestione delegata e fiduciaria di un deposito consente infatti di farvi transitare ogni somma. Ma l'ipotesi viene accantonata: se fossero stati denari suoi, de Bonis li avrebbe accreditati sull'altro fondo, appunto quello «di Jorio». Per non dimenticare che, al di là del capitolo Andreotti, la sola «notizia del passaggio per il nostro tramite della tangente Enimont è aggravata dall'entità della somma, dall'estraneità del quartetto Alessandra Ferruzzi-Carlo Sama-Sergio Cusa-ni-Luigi Bisignani al mondo ecclesiale e dalla loro ben più marcata appartenenza agli ambienti laico-borghesi vicini al partito socialista italiano».14 Su questi delicati ragionamenti Caloia, Dardozzi, Sodano, Casaroli e altri si confrontano per individuare la strategia vincente e superare la questione Enimont. La sera di sabato 13 novembre 1993 un incidente fa temere il peggio, rischia di far saltare i piani. Luciano Pavina, discreto autista alla guida di un'Alfa Romeo, accompagna il presidente dello Ior Caloia a un appuntamento in provincia di Brescia. La berlina corre sull'autostrada Milano-Venezia, quando all'altezza del casello di Palaz-zolo sull'Oglio viene tamponata all'improvviso. L'urto è tremendo, Pavina perde il controllo, l'auto sbanda. Caloia è subito trasportato in ospedale nel paese più vicino. Ma non basta. Il presidente è in condizioni gravi e viene trasferito al reparto trau matologia dell'ospedale di Rovato. Dopo un paio d'ore entra in sala operatoria per un intervento di riduzione di alcune fratture. La prognosi è di un mese. Escono brevi notizie sui giornali. Nei giardini del Vaticano e nei corridoi dei palazzi apostolici l'incidente scatena congetture e malignità. Vengono in mente le morti sospette che hanno segnato gli anni Ottanta, ma la dinamica fa pensare che si sia trattato solo di un incidente. Caloia, in ospedale, si convince che bisogna trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di riservatezza, di immagine e di tutela della banca, e le richieste avanzate dalla magistratura. Imbocca quindi, in quei giorni, una strada già percorsa da diversi protagonisti coinvolti nella vicenda di Mani pulite: offrire ai magistrati inquirenti la conferma di quanto già conoscono aggiungendo solo ciò che potrebbero scoprire di lì a poco. La strategia consente di trarre numerosi vantaggi in una situazione oggettiva di crisi: si contengono i danni, si contrabbanda mediaticamente il proprio atteggiamento come «massima collaborazione» rendendo credibili i dati forniti, soprattutto si spegne la curiosità investigativa dei magistrati. Solo così potranno passare in secondo piano aspetti che imbarazzano fortemente la Santa Sede. Solo così si eviteranno nuovi filoni d'indagine e coinvolgimenti meno gestibili. Sulla stessa posizione appare anche uno dei più potenti membri del Consiglio di sovrintendenza della banca e assai vicino a Caloia, lo svizzero Philippe de Weck, già presidente della svizzera Union de Banques Suisses (Ubs) e ora vicepresidente dello Ior. De Weck incontra la piena fiducia del portavoce del Vaticano Joaquín Navarro-Valls, «numerario» dell'Opus Dei dal 1959. Nella riunione del Consiglio del 17 novembre, lo Ior prepara difese e contromosse, decidendo in via generale la linea da adottare con la magistratura. De Weck, in particolare, si «raccomanda di rispondere - si legge nel sintetico verbale della seduta che appunto affronta gli "aggiornamenti su alcuni argomenti delicati" ovvero Enimont - solo alle domande che verranno poste e non oltre».15 L'indomani il banchiere svizzero invierà una lettera a Caloia nella quale un po' banalmente chiede di cambiare nome allo Ior «per manifestare chiaramente che c'è una rottura con il passato», pensando sia sufficiente un altro logo su nuova carta intestata per nascondere lo scandalo. Inoltre, suggerisce di sopprimere la funzione del «prelato» all'interno dell'Istituto. Ma non è tutto. Per capirne di più, la sera del 23 novembre si tiene un vertice tra Sodano, Caloia, Dardozzi e l'avvocato Franzo Grande Stevens. Al penalista viene affidato l'incarico di incontrare de Bonis e farsi raccontare finalmente la verità. L'incontro viene preparato nei dettagli. Caloia elabora una lettera per de Bonis con una richiesta di spiegazioni che già nella prima mattinata sottopone a Sodano, «nulla ostando le trasmetto copia, grazie sempre per l'incoraggiamento e per la saggezza dei consigli». L'avvocato è così ricevuto in udienza dal neovescovo nell'ufficio dell'Ordine di Malta di via Condotti a Roma. De Bonis si mostra sbrigativo. Cerca di rendere le cose più semplici di quello che sono. E fornisce o concorda una versione per scaricare tutto su Bisignani. «De Bonis mi ha detto - riferirà Grande Stevens a Caloia in una lettera riservata scritta subito dopo l'appuntamento - che i titoli di cui si tratta gli furono consegnati materialmente dal signor Bisignani e da quest'ultimo furono chiesti gli undici bonifici disposti a favore di titolari di conti di banche estere.»16 Gli incontri e i colloqui si succedono a ritmi incalzanti: «Colloquio de Bonis/FGS - annota preciso Dardozzi in agenda - 7. Caloia/de Bonis, 8. Ca-loia/Grande Stevens, 9. Caloia/Castillo Lara, il 4/12/93 Mar-tinez Somalo/Agostino (Casaroli, nda)». Insomma, in quelle ore «è notevole il lavoro - scriverà Caloia il 4 dicembre 1993 -in atto per ricostruire, senza eccessivi coinvolgimenti e con la massima prudenza, gli eventi e offrire la più saggia modalità di risposta».17 Bisogna limitare l'azione dei magistrati e per questo «controllare se le date di presentazione per la vendita dei titoli allegati alla rogatoria - si preoccupa sempre il penalista — da parte dello Ior alle banche italiane siano tutte anteriori e congrue rispetto agli undici bonifici suddetti».18 Il mare di Cct monetizzati è infatti infinito: è indispensabile indicare quelli giusti. Ma molti titoli sono tra loro collegati; indicarne quindi alcuni significherà offrire in automatico ghiotti spunti investigativi ai magistrati. Bisogna esser quindi certi che si diano gli estremi solo di quelli già noti o riconducibili a quanto già in mano agli inquirenti.