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Gli esempi non mancano e vengono indicati. Sul conto della «Fondazione Spellman» si sono registrati rilevanti scambi di titoli compiuti nello stesso giorno in almeno quattro occasioni. Tra queste, il 25 gennaio 1991, sono avvenuti scambi per 6 miliardi di lire; il 17 e il 23 ottobre 1992 il deposito di certificati per altri 3 miliardi e il contestuale ritiro per 4,5 miliardi. Sempre in quel periodo de Bonis, «utilizzando sia i riferimenti contabili della "Fondazione Spellman" sia il "Fondo di Jorio", ha presentato all'incasso tramite lo Ior cedole per complessivi 5,4 miliardi».3 Ma c'è di peggio. Il conteggio dei titoli non torna. I pm hanno in mano solo un frammento di verità. Hanno un elenco di Cct e la traccia di alcuni bonifici effettuati all'estero. Chiedono ragione dei 234 titoli transitati allo Ior tra il 1990 e il 1993 per 88,9 miliardi, la maxitangente della chimica italiana. Ma andando a confrontare questo elenco di Cct - utilizzati per distribuire le somme indicate in rogatoria con i bonifici alla banca vaticana apparsi sui giornali - si accorgono che per date e somme si tratta di cedole differenti. Sono stati usati anche altri Cct. Solo ora si comprende che, in pochi anni, allo Ior sono stati monetizzati Cct per centinaia e centinaia di miliardi. Bisognerà quindi individuarli tutti. Far coincidere gli importi e i numeri dei Cct con i bonifici effettuati, indicando necessariamente altri titoli di Stato nella risposta alla rogatoria e allargando così l'orizzonte investigativo. Al tempo stesso bisognerà preservare la Santa Sede da ulteriori filoni d'inchiesta: due esigenze opposte. I titoli monetizzati solo sui cinque conti dello Ior parallelo, aperti dai clienti di de Bonis per il riciclaggio Enimont, risultano molti di più. Ballano Cct per oltre 62,6 miliardi rispetto agli elenchi forniti dai magistrati milanesi. La somma è sem plice: più di 22,6 miliardi passati sul conto «san Serafino» dei Ferruzzi, 14,3 su «Fondazione Cardinale Spellman», 13,4 sul «Fondo Cardinale di Jorio» gestito in primis dall'allora prelato, 10,5 sui conti del costruttore Domenico Bonifaci e 1,8 sul deposito di Bisignani. Certo, «questi titoli sono di tipologia e numerazione diversa - si legge in un report Ior — rispetto a quelli presenti nell'elenco del Tribunale di Milano o negli elenchi di Bonifaci», quindi non è detto che si debbano riferire tutti alla vicenda Enimont, ma «non si può escludere che, da una parte di essi, specie per i fondi riconducibili ai Ferruzzi, derivi da qualche vena per il momento non ancora nota».4 Sulla stessa linea anche Caloia. Questi certificati odorano di tangenti: Scandagli ulteriori stanno facendo emergere la vastità delle trame perpetrate da «Roma». Egli ha sistematicamente presentato all'incasso cedole relative a titoli che, pur essendo presso di noi, sono identificabili e riconducibili a fattispecie diverse da quella che concerne la rogatoria attuale ma non sicuramente immuni da risvolti criminosi. Detto altrimenti c'è il timore che alle domande che ci sono finora pervenute, la giustizia italiana ne possa far seguire altre.5 Un'altra questione riguarda un problema già sfiorato e che si ripropone. I titoli entrati alla banca del papa venivano inviati, per l'incasso o l'immissione a custodia, a banche esterne come il Credito Italiano e la Banca Commerciale. Ma anche qui i rispettivi conteggi non combaciano. Infatti, degli 88,9 miliardi dell'elenco di Cct ricostruito dai magistrati allo Ior non si trovano 15,6 miliardi che, secondo la Procura, la banca vaticana avrebbe incassato presso il Banco di Santo Spirito (poi Banca di Roma) e un altro miliardo al Credito Italiano: Si può soltanto temere che de Bonis abbia inviato o fatto inviare all'incasso titoli facendo apparire la rimessa come appartenente allo Ior senza seguire le normali procedure interne, compiendo in tal modo un grave illecito. E abbastanza diffìcile pensare a un errore totale delle banche interessate, della Banca d'Italia, della Guardia di finanza e del Tribunale.6 Insomma, la doppia contabilità dello Ior occulto crea confusione. Bisognerà definire prima la movimentazione «ufficiale», poi l'altra, quella clandestina. «Si è detto "ufficiale" perché si ha anche motivo di sospettare che vi sia stata una movimentazione di titoli e/o di cedole verso banche esterne effettuata spendendo il nome dello Ior ma con contabilizzazione inesistente o incompleta all'interno dell'Istituto.»7 Appunto, il comparto più riservato dello Ior parallelo. Ci si muove in un campo minato. A ogni passo sorgono nuove difficoltà. Come se non bastasse, in banca devono anche decidersi su come trattare Cct e Btp ancora custoditi nei forzieri sotterranei. Non si sa come monetizzarli. Alla Santa Sede sono ben consapevoli che alcuni di questi certificati potrebbero essere frutto di tangenti e di ulteriori casi di riciclaggio. Per questo ci si deve muovere con la massima prudenza: Nel caveau dello Ior giacciono circa 27,9 miliardi di titoli di Stato italiani, Btp e Cct. Non si tratta dei titoli degli elenchi della magistratura, che sono tutti scaduti tra il giugno 1991 e il febbraio 1992, bensì di certificati di varia provenienza. Non tutti i numeri sono «puliti». Prima di inviare a banche esterne le cedole per l'incasso o i mantelli per il rimborso sarà necessario ricostruire accuratamente, certificato per certificato, chi ci ha fornito i titoli.8 Sullo scacchiere processuale una variante rischia però di ampliare ancora di più lo scandalo, facendo da detonatore. Pesa infatti il rischio che de Bonis venga interrogato dai magistrati. Pur di sottrarsi alle sue responsabilità, il prelato potrebbe accusare la nuova dirigenza che nelle relazioni alla segreteria di Stato già si difende: Potrebbe tentare di addossare le responsabilità ai nuovi gestori laici dell'Istituto, accusando in particolare la direzione, il Consiglio di sovrintendenza e Caloia, che non dovrebbero avere responsabilità visto che non erano stati preventivamente informati dell'apertura dei depositi dal direttore Bodio. Inoltre, quando l'apertura dei depositi è stata conosciuta, sono state fatte adeguate pressioni su Bodio e su de Bonis affinché le posizioni venissero chiuse. Non si può dire che vi sia stata culpa in vigilando. I fatti avevano per di più dato il via alle ricognizioni interne in materia di fondazioni, i cui esiti sono stati portati a conoscenza della Commissione cardinalizia.