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Informatori in Tribunale In Vaticano l'aria si fa pesante. Da Milano la caccia ai Cct della tangente Enimont si intensifica. La Romana Chiesa deve affrontare, ripetendo le parole vergate da Caloia a Sodano, «un problema di dimensioni enormi e finora non immaginabili». L'incubo Ambrosiano si allunga su piazza san Pietro in tutta la sua gravità. Stavolta la Chiesa è priva degli storici riferimenti tra i politici di governo, non può contare sulla formidabile e reciproca tutela che già favorì un'uscita più che dignitosa dagli scandali passati. L'Italia è un paese confuso nel passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Tra il '92 e il '93 la classe politica è debole, succube di un'azione impetuosa della magistratura inquirente. Tangentopoli, la disintegrazione dei partiti tradizionali, gli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in Sicilia, l'indebolimento di Andreotti inquisito per mafia e per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, con le esplosive dichiarazioni di Tommaso Buscetta, esasperano una situazione già diffìcile. Certo, l'esperienza del trio Sindona, Calvi e Mar-cinkus ha comunque offerto, dietro le mura leonine, un'ampia e sofferta conoscenza dei meccanismi dell'informazione, dei tempi e degli equilibri della giustizia. Ma non basta. L'unità di crisi inizia a studiare le mosse dei magistrati milanesi. Dal Vaticano si attiva ogni canale informativo che possa portare lumi sull'azione della Procura di Milano. Il segnale che si riflette sull'ampia e fittissima ragnatela di relazioni vaticane viene colto e seguito dalla diocesi di Milano ai corridoi del Tribunale. In quelle settimane, dalla corrispondenza tra Caloia, Sodano e Castillo Lara, dagli appunti di monsignor Dardozzi, emerge la straordinaria capacità della Chiesa di prevedere le mosse della Procura con approfondite analisi della situazione. Ma anche di conoscere, talvolta persino in anticipo, le scelte operative della polizia giudiziaria e avere anzitempo importanti atti giudiziari. I riferimenti a degli informatori, a notizie riservate, sono allusivi, indiretti o palesi. Di sicuro nei momenti cruciali, la Santa Sede conosce le carte dell'avversario per una partita che diventa quindi falsata. Il cambio del registro risale al 5 ottobre 1993 quando emergono i retroscena già anticipati in parte da «L'espresso» a fine settembre. Allo Ior si capisce che ormai la valanga non si può più fermare.19 Bonifaci ha passato ai giudici di Milano l'elenco dei numeri di serie dei titoli ceduti. La somma del denaro riciclato cresce a dismisura. Con quei numeri seriali gli inquirenti hanno ricostruito i passaggi dei Cct sino alla banca vaticana. Quindi c'è stata la telefonata di Borrelli. Con Sodano, Caloia è lapidario: la «realtà si rivela sempre più drammatica e foriera di conseguenze gravissime». A Milano infatti sanno che quei titoli, come scrive Caloia a Sodano, «passati allo Ior sono il risultato di pagamenti di tangenti a uomini politici, per importi certamente a loro ritornati in forma pulita. E l'esatta replica dei meccanismi del passato». L'elenco è sterminato. Non si tratta solo di quanto «già lei conosce - sottolinea ancora Caloia, che si rivolge sempre al segretario di Stato — e che è nell'ordine di una quarantina di miliardi», ovvero quanto sinora appurato dalla Commissione segreta. No, i soldi sono molti di più: «È emersa l'esistenza di una lista di titoli di credito che lo Ior potrebbe aver acquistato nel 1991 per un importo molto più elevato». Il presidente dello Ior ancora non lo dice ma già conosce le anticipazioni di una verifica compiuta dal capouffìcio titoli della banca vaticana, Mario Clapis, in quel momento ancora in corso: ammonta a 63 miliardi il valore dei Cct passati in Vaticano in odore di tangente. A questo punto Caloia chiede a Sodano che vengano informati i superiori: «Si ha la sensazione netta che ci si trovi di fronte, tutti, a un potenziale esplosivo inaudito che deve essere doverosamente portato a conoscenza delle più alte autorità». Caloia chiede che la Commissione cardinalizia venga informata. Sodano procede ad aggiornare il santo padre. In quelle ore arrivano alla Santa Sede le indiscrezioni dalla rete di informatori che si è attivata. La prima rappresenta un'autentica e grave fuga di notizie che proprio Caloia, allarmato, confida a Sodano nero su bianco: «Fonti amiche della Guardia di finanza — scrive con qualche ingenuità - mi hanno allertato circa la ricerca da parte del Pool del mio indirizzo». Chi informa Caloia in tempo reale dell'attività dei magistrati? Non si sa. Ma se davvero in Procura cercano l'indirizzo significa una cosa sola: di lì a poco i magistrati potrebbero arrestare il presidente dello Ior. La drammatica conferma a questa soffiata non tarda ad arrivare. La Procura di Milano chiede al Vaticano la rogatoria L'11 ottobre 1993 l'arcivescovo di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini, in ottimi rapporti con il Pool di Mani pulite, si fa avanti. Cerca Caloia per un «incontro urgente» che viene subito fissato. Alle 20.45 Martini si mostra preoccupato, teso. Caloia racconterà a Sodano di aver «ricevuto, per il tramite di un sacerdote, segnali secondo i quali la Procura di Milano non è contenta del fatto che io non mi sia presentato e che, in assenza di contatti non meglio precisati, clamore e fragore (di manette?) avrebbero potuto seguire». Tuttavia durante l'incontro con il cardinale prova a stemperare l'atmosfera, ribadisce la validità della rogatoria cercando di portarlo sulle sue posizioni. Il banchiere conosce la profondità dei rapporti tra Martini e la Procura di Milano, il rispetto che gode il porporato nella comunità dei magistrati della città. Per questo lo invita a contattare il segretario di Stato Sodano, e cerca di coinvolgerlo per fargli seguire il rapporto con i magistrati che sta attraversando una fase delicatissima. Aprire un corridoio di dialogo può rivelarsi fondamentale. Chi meglio di Martini può porsi come ambasciatore? Caloia rilancia e gli affida subito il compito di «far sapere alla Procura di Milano che la via da seguire è quella in uso nei rapporti tra Stati». In realtà è già tutto deciso. L'indomani parte la rogatoria su Enimont. Il percorso non è però diretto, ma segue i canali diplomatici, come prevede la procedura. Così, in quell'autunno del 1993, la richiesta di assistenza giudiziaria passa prima al ministero della Giustizia poi, agli inizi di novembre, il dicastero la inoltrerà all'ambasciata italiana presso la Santa Sede, che a sua volta la girerà in Vaticano. Ma la rete della Chiesa è già attiva. Coglie in tempo reale le voci che al ministero danno già in preparazione la rogatoria. Martini diventa così un punto di riferimento e di dialogo. Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro, Francesco Greco, Gherardo Colombo e Francesco Saverio Borrelli hanno quin di firmato le cinque pagine che confermano le indiscrezioni già note ai porporati: per i magistrati su 130 miliardi di maxitangenti Enimont ne sono transitati 88,9 allo Ior, monetizzati in 234 titoli di Stato. In altre parole, ben 2/3 dell'intera mazzetta sono passati dallo Ior.