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Mani pulite precipita nel dramma In Italia, tra gennaio e febbraio del 1993, la situazione precipita: i magistrati di Roma e Milano aprono inchieste parallele su Enimont, casa e ufficio di Garofano vengono perquisiti, a fine febbraio Gardini e Cagliari sono iscritti nel registro degli indagati per l'affaire chimica&tangenti. Ancora qualche settimana e il 10 marzo il presidente Cagliari finisce in carcere, a san Vittore. Il passo successivo diventa inevitabile. Preannunciato e in qualche modo concordato con monsignor Macchi, si realizza in silenzio a fine marzo 1993: de Bonis lascia lo Ior. Nei corridoi dei sacri palazzi, diaspore, congiure e siluramenti si consumano senza clamore, dietro doppie porte insonorizzate, in ambienti bonificati, a velocità ridotta rispetto al comune agire. Promo-veatur ut admoveatur è la legge che regna sovrana. Impensabile, seppur dovuta, qualsiasi iniziativa giudiziaria interna; il monsignore è contemporaneamente allontanato per necessità, ma solo sulla carta. Viene promosso vescovo del Castello di Numi-dia e, dall'll aprile 1993, assistente spirituale del Sovrano Ordine Militare di Malta, al quale già aderiva nel Gran Priorato dell'Ordine di Napoli e Sicilia. È un incarico di prestigio. La posizione gli garantisce contatti ad altissimo livello. I motivi di questa scelta sono scritti nella storia della Romana Chiesa, nel suo imbarazzato rapporto con il denaro. Più concretamente si scorgono anche nel potere di questo sacerdote venuto da Pietragalla e cresciuto fra le trame dello Ior. Basterebbe riguardare le fotografìe scattate nel seminario di Santa Maria della Fiducia a Roma, domenica 25 aprile 1993, in occasione della cerimonia dedicata alla consacrazione episcopale del vescovo de Bonis immediatamente successiva al suo addio allo Ior. Consacratore è il cardinale Corrado Ursi con l'amico arcivescovo Macchi e Michele Scandiffìo. E una rivincita per questa consorteria trasversale: duemila presenti, quindici cardinali e quarantacinque vescovi diocesani, un centinaio di pre lati, un parterre di politici di primo piano, tra i quali Francesco Cossiga ed Emilio Colombo. Un pezzo della Roma che conta. La celebrazione finisce su tutti i giornali perché de Bonis ringrazia in pubblico quell'uomo silenzioso, seduto ricurvo al primo banco: «Voglio ringraziare il presidente Giulio Andreot-ti per averci salvato dieci anni fa da gravi rischi, con i suoi consigli»,10 scandisce il neovescovo con un plateale riferimento all'Ambrosiano. Scattano dieci minuti di applausi. Un'ovazione. Parole che fanno rumore. Dai molteplici significati visto che Andreotti proprio in quelle settimane è accusato dai pentiti sentiti dalla Procura di Palermo di baciare i boss di Cosa Nostra. È una decisiva testimonianza d'affetto alla vigilia del voto sull'immunità della giunta parlamentare. È un ricordare a tutti la dovuta riconoscenza al leader politico primo interlocutore del Vaticano dal Dopoguerra. Per ogni volta che Andreotti si è prodigato per la Santa Sede. Con la Banca d'Italia per la chiusura della scivolosa vicenda Ambrosiano firmata a Ginevra con i liquidatori del Banco; con la Rizzoli quando il venerabile Licio Gelli consegnò proprio ad Andreotti le celebri foto di Wojtyla che nuotava nella piscina realizzata nei giardini vaticani. Il presidente le portò al papa, che ringraziò.11 In definitiva è soprattutto un memento indirizzato a chi conosce il conto «Fondazione Spellman», lo Ior parallelo, i segreti An-dreotti/Vaticano e spera magari di voltare pagina. Bisignani fiuta il disastro e il 28 giugno 1993 bussa allo Ior: si fa consegnare, e distrugge, le volontà ereditarie lasciate per prassi. Chiude il conto «Jonas Augustus Foundation» ritirando un miliardo e 687 milioni in contanti. Operazioni che è costretto a compiere in due mandate non avendo borse abbastanza capienti da contenere le mazzette di denaro. Un mese dopo sarà latitante, inseguito da Antonio Di Pietro e dal Pool di Mani pulite. Siamo ormai al tragico luglio del 1993. Sama e Garofano riempiono verbali di accuse. Nel giro di pochi giorni Gabriele Cagliari, già a san Vittore, s'infila un sacchet to di plastica in testa soffocandosi e Raul Gardini, all'indomani delle anticipazioni esplosive apparse sui quotidiani, si spara alla tempia con la sua Walther PPK calibro 7,65. Il suo corpo, nell'ampia camera da letto del settecentesco palazzo Belgioio-so a Milano, segna la fine di un'epoca. Lascia un biglietto con un'unica parola: «grazie». La tempesta si abbatte sullo Ior Allo Ior, come emerge dall'archivio Dardozzi, la documentazione mandata in copia al segretario di Stato cardinale Sodano sul sistema offshore sparisce come d'incanto. Sebbene de Bonis sia ormai fuori dall'Istituto, qualche lungimirante mano ha portato via i documenti dai dossier più scottanti, cercando di arginare le indagini della Commissione segreta di Dardozzi, Caloia e Sodano. La denuncia della sparizione, l'atto d'accusa sulle malversazioni, sei pagine scritte a mano da Caloia, arriva proprio sul tavolo di Sodano. I toni scelti dal pacato presidente della banca sono drammatici, inconsueti per lo stile degli interlocutori. Caloia non usa mezzi termini. Imputa a de Bonis una «netta e criminosa attività consapevolmente condotta».12 Nella stessa missiva il presidente lascia intendere che l'allontanamento dell'ex prelato, nei documenti indicato talvolta con il nome in codice «Roma», non ha determinato alcun cambiamento. De Bonis, seppure da lontano, coordina ancora l'attività della banca. Il riciclaggio, che Caloia scopre essersi protratto anche nel 1991 sotto la sua presidenza e con il «fidato» Bodio direttore generale, continua: Le fotocopie a lei rimesse di documentazioni interne (fino a qualche tempo fa disponibili e ora scomparse a opera dei... soliti ignoti!) rendono chiaro il grosso pericolo di coinvolgimento dello Ior in relazione a eventi criminosi emersi in questi giorni e che nell'anno 1991 indusse l'allora direttore generale [Giovanni Bodio, nda] ad aprire un cosiddetto fondo, l'alimentazione del quale è dubbio che sia proveniente da generosità umane e non invece da dubbie operazioni. Come appare dagli ordini di trasferimento, «ROMA» riuscì persino a trasformarsi in ordinante di bonifici sull'estero ancorché non fosse già più operatore dello Ior e il fondo non recasse formalmente alcuna sua titolarità. Appaiono sempre più chiari i contorni di netta e criminosa attività consapevolmente condotta da chi per scelta di vita e ruolo ricoperto doveva al contrario costituire severa coscienza critica. Risulta sempre più incomprensibile il permanere di una situazione tale per cui il nominato continua, da ubicazione non meno privilegiata, a gestire indirettamente l'attività dello Ior. [...] Eminenza Rev.ma, spero che la buona fede di quanti hanno lavorato all'interno della preziosa istituzione ci preservi dalle tempeste. Mi terrò comunque in contatto e sarò sempre oltremodo grato e rasserenato ogniqualvolta mi sarà dato di vederla e/o sentirla.13 Le tempeste che sconvolgono l'Italia, preannunciate da Caloia, non tardano ad abbattersi sulla Madre Chiesa. L'ambasciatore di tali sventure è un personaggio di primo piano nelle vicende societarie dell'economia italiana: l'avvocato Franzo Grande Ste-vens. Nobile di casato, difensore storico e consigliere fidato di Gianni Agnelli, vicepresidente della Fiat e in seguito presidente della Juventus sino al 2006, Grande Stevens assumerà un ruolo chiave nella gestione della difesa dello Ior nei mesi successivi. Il 24 agosto 1993 Dardozzi concorda con Grande Stevens un incontro per l'indomani. Il clima è teso. «L'avvocato dell'Avvocato» con scarne parole già anticipa che «si addensano le nubi». Il che significa una cosa sola: Mani pulite rischia di travolgere anche il Vaticano. Sui giornali una notizia precisa, una novità che scuote le porpore nella Santa Sede: i magistrati hanno scoperto che parte della maxitangente Enimont è stata pagata in titoli di Stato. Che siano proprio quelli depositati allo Ior? Un informatissimo Giorgio Bocca su «la Repubblica» anticipa in prima pagina che «al gran ballo dei corrotti partecipavano in frenetico concerto politici, industriali, banchieri, dirigenti della Consob, vescovi dello Ior, giudici».14 Il commento non passa inosservato alla segreteria di Stato, l'articolo è esaminato riga per riga, Dardozzi interpreta l'indiscrezione come un segnale da Titanic. In Vaticano si crea una sorta di «unità di crisi», con un'inconsueta alleanza fra i quattro personaggi chiave: Sodano, Dziwisz, Dardozzi e Caloia. Tra loro circolano le informazioni e i report della Commissione segreta sullo Ior parallelo. E sempre a loro fanno riferimento fidati monsignori come Timothy Broglio.15 L'unità di crisi valuta così l'ultimo dossier che indica anche tutti i beneficiari dei bonifici esteri effettuati dal «Fondo san Serafino»: 44,8 miliardi alla Bank Leu di Ginevra e alla Sbs di Chiasso, all'attenzione di Pius K. Steiner, per 35 miliardi, e di Ostinelli, per altri 9,8: «Ex post potrebbe dirsi - si legge nella relazione riservata - che le operazioni di cui sopra siano servite a far giungere danari a un determinato personaggio». Ancor più realistico e allarmato il fido consigliere dello Ior Vincenzo Perrone: