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Enimont. La maxitangente Il riciclaggio dello Ior Siamo nel 1987. La scalata vincente di Raul Gardini alla Montedison, con un investimento di 2 miliardi di dollari, offre al gruppo Ferruzzi - leader nei cereali e dinastia seconda in Italia solo agli Agnelli - una rilevanza internazionale. Nella primavera del 1989 Gardini, conosciuto come il «corsaro di Ravenna»,1 riesce anche a chiudere l'operazione finanziaria del secolo con l'Eni, creando una joint venture tra pubblico e privato. È il grande sogno della chimica unica nazionale, progetto che tanto fa sperare industriali e politici in nuove sfide planetarie dimenticando i dissesti del settore. Il 9 maggio 1989 nasce così Enimont, società mista paritetica con l'80 per cento delle azioni equamente divise tra Eni e Montedison e il restante 20 per cento sul mercato. Ma il polo chimico ha subito vita sfortunata. Ben presto i sogni si ttasformano in incubi, dei peggiori. Da una parte i Ferruzzi, con un agguerritissimo Gardini che punta al controllo della società iniziando a scalare Enimont in Borsa, benché vietato dai patti. Dall'altra Gabriele Cagliari, presidente dell'Eni, che ricorre agli avvocati e chiede al governo di rompere con l'inaffidabile corsaro. Nel novembre del 1990 Andreotti, allora presidente del Consiglio, decide di chiudere la partita e placare le sempre più roventi polemiche. Nasce quindi il cosiddetto «patto del cowboy», voluto dal ministro delle Partecipazioni statali Franco Enimont. La maxitangente 75 Piga: alla parte privata si lascia libera scelta se comprare tutto o uscire dalla società. A Gardini viene quindi data la possibilità di vendere la sua quota in Enimont o acquistate quella dell'Eni. Montedison ci pensa su e sceglie di cedere. L'alleanza è rotta. L'Eni rileva il 40 per cento di Enimont dell'ex socio romagnolo ma a un prezzo assai superiore a quello di mercato. Così, con un maxiassegno da 2805 miliardi (oltre 2,1 miliardi di euro), staccato dal colosso degli idrocarburi, il gruppo di Ravenna esce di scena. La chimica torna pubblica. Ma i passaggi per chiudere l'accordo non sono proprio trasparenti. Anzi, affinché i politici si mettano d'accordo vengono promessi soldi a quasi tutti i partiti, andando a costituire quella che verrà poi chiamata la «madre di tutte le tangenti», una maximazzetta finora mai pagara nella storia del paese. La distribuzione comincia già un mese dopo il divorzio dell'autunno del 1990, con i primi 4,7 miliardi destinati all'ex segretario della Dc Arnaldo Forlani e al cassiere del partito Severino Citaristi. A differenza di tutti gli altri scandali per corruzione, le buste e le valigette di soldi non passano di mano in mano. Questa maxitangente viene dispensata con un sistema innovativo. Ecco l'iniziale provvista proveniente da fondi extra bilancio. Ecco i bonifici bancari, ecco le somme pulite e riciclate con triangolazioni su conti schermo e società di copertura. Ecco soprattutto lo Ior di de Bonis, una banca fuori dall'Italia, scelta per pulire e far transitare gran parte delle somme e destinarle ai prestanome dei leader della prima Repubblica. I giudici celebreranno diversi processi senza riuscire mai a ricostruire il percorso di questa maxitangente, che emerge con chiarezza solo oggi dai documenti dell'archivio Dardozzi. La provvista di fondi neri per pagare i politici viene costituita grazie all'aiuto dell'immobiliarista romano Domenico Bonifaci, che mette a disposizione di Montedison 152,8 miliardi tra contanti e titoli di Stato.2 La somma è distribuita a pattiti e leader di governo, politici, membri del Cda dell'Eni pagati sia per ven dere sia per acquistare, sino agli intermediari. A incaricarsene sono il consulente Sergio Cusani e Carlo Sama, amministratore delegato di Montedison che, a sua volta, può contare sulla fraterna amicizia con il potente responsabile delle relazioni esterne del gruppo, Luigi Bisignani. Negli anni dell'Ambrosiano e di Roberto Calvi, de Bonis aveva conosciuto un giornalista dell'Ansa, prima agenzia di stampa in Italia, particolarmente spigliato, assai intuitivo, dalle influenti relazioni, Bisignani appunto, già capouffìcio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati nei governi An-dreotti degli anni Settanta e considerato assai vicino all'ex presidente del Consiglio.3 Quando nel 1981 escono gli elenchi della loggia massonica P2 del venerabile Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi, il piccolo comune della provincia di Arezzo, si scopre che dal 1977 la tessera 1689 è attribuita proprio a Bisignani.4 Ma lui non si scompone. Ogni volta che si vede coinvolto in vicende di grembiuli e compassi smentisce seccamente: «Mai en-ttato in una loggia in vita mia». In piena era Caloia e alla vigilia del divorzio tra Eni e Montedison, Bisignani si muove con dimestichezza in Vaticano. Con l'aiuto di de Bonis, l'11 ottobre 1990 apre allo Ior il conto 001-3-16764-G «Louis Augustus Jonas Foundation (Usa)» con 600 milioni in contanti. Si tratta di uno dei depositi dello Ior parallelo che Caloia aveva sottoposto all'attenzione del papa nell'estate del 1992 (vedi pag. 52). Stando all'intestazione questo deposito viene aperto, almeno formalmente, per raccogliere somme da destinare all'«aiuto bimbi poveri». In effetti, dal Dopoguerra, negli Stati Uniti è attiva una fondazione per opere di carità che porta proprio questo nome, con sede principale a Doylestown, in Pennsylvania. Ma si tratta di un'intestazione fittizia. «Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior - svelerà lo stesso de Bonis tempo dopo - da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano. La sua è una famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L'Istituto si occupa di opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente. Anche il sarto Litrico mi diceva "io vesto i ricchi per aiutare i poveri"».5 Che però sia tutta una messinscena lo si può intuire da subito. La posizione del conto rimane ferma per tre mesi. Quanto poi accade è fotografato dalle contabili bancarie custodite nell'archivio Dardozzi. Il 23 gennaio 1991, a metà mattinata de Bonis si presenta in banca con quasi 5 miliardi di titoli di Stato da inviare all'incasso su conti di privati cittadini e non di monache e frati. Monetizza rapidamente i titoli e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi appunto sul deposito «Jonas Foundation» dell'amico Bisignani, firmando per quietanza la ricevuta, mentre quasi 2,2 li accredita sul conto «Cardinale Francis Spellman», che gestisce in proprio e per conto di «Omissis», ovvero Giulio Andreotti, come Caloia ripeteva a Sodano e al papa tramite il segretario Dziwisz. Per triangolare e disperdere le tracce del denaro, il prelato della banca del papa si muove come uno scaltro finanziere: i soldi rimangono solo pochi minuti sul conto «Spellman». Giusto il tempo per disporre un bonifico da 2,5 miliardi da «Spellman» al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra, via Banco di Lugano. In pratica, il prelato unisce alla somma appena ricevuta 300 milioni attinti proprio dal conto «Spellman» per effettuare il bonifico in Svizzera. Questi soldi non vanno né ai «bimbi poveri» né alla fondazione della Pennsylvania. Assumono comunque un significativo valore simbolico: costituiscono la prima tranche della mazzetta Enimont, «la madre di tutte le tangenti». La premiata «lavanderia» è avviata. Bisignani presenta Carlo Sama, astro nascente del gruppo Ferruzzi, a de Bonis. I tre si parlano e s'intendono al volo. L'8 maggio 1991 Sama, con la futura sposa Alessandra Ferruzzi, figlia del fondatore Serafino, e con un altro consigliere di Gar-dini, il giovane Sergio Cusani, entrano nel torrione Niccolò V e salgono ai piani nobili dello Ior. Siglano rapidamente i pochi atti burocratici, segnano il cartellino delle firme e aprono il conto «Fondo san Serafino» (vedi pag. 53).6 Ovviamente per opere di bene. Tasso d'interesse: 8,25 per cento. Di lì a qualche giorno, sul conto vengono depositati 36 miliardi di lire in Cct. De Bonis, pur senza alcun potere di firma, dispone un bonifico da 9,8 miliardi per la Società di Banca Svizzera (Sbs) di Chiasso su un deposito riconducibile a Mauro Giallombar-do, uomo di fiducia dei conti segreti del Psi e di Bettino Cra-xi. E la seconda tranche della maxitangente.