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Tra i tanti nomi, uno spicca su tutti. Quello di monsignor Pasquale Macchi, influente segretario di Giovanni Battista Montini, sia all'arcidiocesi di Milano sia quando il cardinale viene eletto papa Paolo VI nel 1963. Macchi è, come quasi tutti i segretari particolari dei pontefici, un consigliere molto ascoltato. E intesse rapporti con i palazzi del potere, stringendo amicizie con premier e leader politici che gli riconoscono un'intelligenza raffinata. Paolo VI valorizza le sue intuizioni. Ne appoggia certe mosse e, d'accordo con lui, permette a Marcinkus una carriera fulminea. Prima affidandogli la sicurezza nei suoi viaggi e poi la banca, lo Ior. Nel 1977 Macchi riesce ad allontanare addirittura il cardinale Giovanni Benelli dalla Segreteria con un blitz già ricostruito da Yallop: «Una congiura che aveva provocato la destituzione di Benelli dall'incarico di segretario di Stato».3 Secondo alcuni giornalisti investigativi stranieri,4 Paolo VI incaricò sempre Macchi di riorganizzare i servizi di sicurezza del Vaticano, ma è tesi che rimane ancora priva di pieno riscontro. «A Roma, monsignor Macchi - scriverà anni dopo proprio l'amico Andreotti - veniva altre volte nel corso dell'anno, soggiornando con due amici sacerdoti che l'hanno preceduto: padre Carlo Cremona e monsignor Donato de Bonis. Ora si ritrovano lassù».5 Nel 1988 Giovanni Paolo II nomina Macchi arcivescovo di Loreto. Per lui, de Bonis nutre un profondo sentimento di riconoscenza: l'ex segretario di Paolo VI si era adoperato e lo aveva aiutato per fargli raccogliere i poteri lasciati da Marcinkus allo Ior. Così il prelato opera su due conti di pertinenza di Macchi e intestati ufficialmente alla Santa Casa di Loreto, una tra le più importanti mete di pellegrinaggio del mondo cattolico. Il primo deposito reca un saldo di 2,655 miliardi di lire, sull'altro sono depositati 2,7 milioni di dollari. La gestione del conto poco trasparente, le richieste (respinte) di spostare somme su altri depositi personali fuori dallo Ior offrono a Caloia il destro per intraprendere la sua missione. Incontra Macchi per condividere con lui il proposito di allontanare de Bonis. Senza coinvolgere ovviamente alcuna autorità giudiziaria, né vaticana né tantomeno italiana. La diplomazia è al lavoro, anche se l'incontro non lascia soddisfatti né Caloia né Macchi. Ma ormai altre nubi si avvicinano. Proprio in quei giorni dalla Basilicata, terra del prelato dello Ior, arrivano nuove preoccupazioni. Tutto nasce al centro psichiatrico Don Uva di Bisceglie, di proprietà formale della Congregazione delle Ancelle della Divina provvidenza. Il manicomio è il più grande d'Europa. Vengono curati circa ottocento pazienti e conta quattro sedi tra Puglia e Basilicata. Da una parte è quindi decantato per le applicazioni della psichiatria più moderna, dall'altra finisce spesso nel mirino dei giudici per presunti maltrattamenti dei malati mentali, morti sospette, truffe, clientele e appalti chiacchierati. Stavolta è il pm di Potenza Cinzia Mondatore che chiude un'inchiesta per frode e abuso d'atti d'ufficio. Le convenzioni con gli enti che erogano i finanziamenti non sarebbero state rispettate. Il pubblico ministero ottiene il rinvio a giudizio per i vertici della regione e gli amministratori del centro: monsignor Eligio Lei-li e il commendatore Lorenzo Leone, dominus dell'ospedale. Più che il monsignore, è proprio il nome del commendatore a far sobbalzare le lunghe tonache ai piani alti dello Ior. Leone è infatti un facoltoso cliente della banca vaticana, con numerosi depositi personali per ben 16 miliardi (24,3 milioni di euro), ed è soprattutto un pupillo di de Bonis. I due sono legati da un'amicizia di lungo corso. Il monsignore va spesso a trovarlo in Puglia, dove ha anche celebrato il matrimonio di suo nipote. Ma non è tutto. Sempre Leone gestisce proprio insieme al prelato della banca il conto delle suore titolari della struttura Don Uva, appunto le Ancelle della Divina provvidenza. La loro congregazione è stata fondata da don Pasquale Uva a Bisceglie nel 1922, e da allora le pie sorelle si dedicano all'as sistenza dei bisognosi e dei malati di mente. Si potrebbe pensare a suore di povertà, ma si commetterebbe un errore madornale. Il deposito delle Ancelle presenta infatti un saldo di ben 55,4 miliardi di lire dell'epoca, 43,5 milioni di euro. Diffìcile risalire all'origine di tutti questi soldi. Forse lasciti, eredità. Di certo una somma enorme se si considera che l'arcidiocesi di una grande città presenta un bilancio di 10-12 milioni di euro. Su questo conto de Bonis opera in modo assai disinvolto, privo cioè dei prescritti conferimenti di delega. Dall'archivio Dardozzi emerge che il suo nome è stato segnato sul cartellino delle firme seppur senza alcun documento di incarico. Da dove arrivano tutti questi soldi? Di certo la Congregazione oggi incassa dallo Stato oltre 100 euro al giorno per ogni paziente. In tutto una trentina di milioni di euro all'anno. Si potrebbe quindi immaginare una struttura modello, invece i degenti vivono in condizioni disumane, come racconta Gianni Lannes: «Si scivola sul pavimento cosparso d'urina: è l'odore dominante. Gli escrementi vengono spostati a secchiate d'acqua, il liquame s'incrosta sulle pareti. Circondati da corpi spesso nudi, persone chiedono l'elemosina di una sigaretta e recuperano occasionali mozziconi da terra».6 In Vaticano si teme il peggio. Qualcuno ipotizza persino che parte delle somme delle Ancelle possa avere un'origine illecita, che magari sia stata sottratta ai malati o dirottata dai finanziamenti pubblici che le strutture ricevono. Forse a insaputa delle stesse titolari del conto. E possibile che il deposito possa esser utilizzato per parcheggiare soldi di altri. Di persone che fiduciariamente nemmeno potevano apparire tra i clienti dello Ior. Veleni, dubbi stimolati dai ricordi di una vecchia inchiesta per truffa sulle rette dei degenti che per Leone si concluse con un'attesa assoluzione. Il commendatore incasserà l'assoluzione in appello, nel 1996, ribaltando il giudizio di primo grado. Il caso però non è chiuso. Nel 1999 la magistratura s'interessa ancora dei soldi che arrivano al centro. Stavolta la Procura di Trani indaga per riciclaggio, appropriazione indebita, malversazione ai danni dello Stato e associazione per delinquere. Manda agli arresti domiciliari parenti e collaboratori di Leone. L'accusa è di aver gonfiato i prezzi degli appalti per stornare somme a titolo personale: dal giardinaggio alla manutenzione, drenando almeno 11 miliardi di lire dai finanziamenti che arrivano dal ministero della Sanità tramite la regione Puglia. Il pubblico ministero Domenico Secchia chiede l'arresto di Leone ma all'improvviso il dominus del manicomio muore. La sua posizione viene archiviata. Peccato, con lui si spengono anche le accuse messe con coraggio a verbale da una suora. L'Ancella della Divina provvidenza aveva raccontato in Procura di aver visto il commendatore Leone caricare l'auto di scatole da scarpe zeppe di banconote per poi partire alla volta del Vaticano.