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Lo Ior parallelo I comparti occulti La lettera al papa consegnata a don Stanislao Dziwisz rimane senza risposta. Il momento è delicato. Quando Caloia avvia la Commissione segreta sulle fondazioni fittizie dello Ior, con i primi allarmanti dati e implicazioni della «Fondazione Spell-man», siamo nel marzo del 1992: Andreotti è presidente del Consiglio, in piena campagna elettorale per le elezioni del successivo aprile. Mani pulite è all'inizio. Non solo, il 25 aprile 1992 l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga annuncia le sue dimissioni due mesi prima della scadenza naturale del mandato spalancando le porte del Quirinale alla candidatura di Andreotti, sostenuto persino da Umberto Bossi. Solo dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992 verrà eletto presidente Oscar Luigi Scalfaro. Caloia, per vincere questa guerra frontale dichiarata al prelato de Bonis, gioca quasi in solitudine e ha ancor più bisogno di sviluppare le informazioni sulle attività occulte di monsignor de Bonis, da girare sia al segretario di Stato Angelo Sodano sia a Dziwisz, affinché il santo padre, con discrezione, sappia e provveda. Nella primavera del 1992, giorno dopo giorno, mese dopo mese, il sistema offshore costruito nel tempo da de Bonis emerge in tutta la sua gravità dai risultati delle indagini avviate dalla Commissione segreta dello Ior e da monsignor Dardozzi. Lasciando sul campo alcune incognite, autentiche mine che possono deflagrare pregiudicando l'intera attività di bonifica portata avanti. Nessuno conosce ancora l'estensione del sistema dei conti gestiti dal monsignore banchiere: ci vorranno anni per ricostruire nel dettaglio tutte le operazioni, scoprirne gli attori, i complici e i beneficiari. Ma ancor più gravi sono le protezioni generate da questo sistema, che coinvolgono eminenti porporati in Vaticano e che sono foriere di potenziali ricatti e rivalse. Buchi neri che fanno della partita in atto uno scontro ad armi impari tra consorterie vaticane. Infatti il prelato dello Ior dipende dal presidente del Consiglio di sovrintendenza, teoricamente sottoposto proprio a Caloia, ma nella Romana Chiesa i sacerdoti dispongono, i laici eseguono.1 Proprio in quei mesi centrali del 1992, mentre inizia la guerra sotterranea per mettere all'angolo de Bonis, il sistema offshore cresce ancora, godendo di una sorta di «clandestinità finanziaria» che lo rende immune a tutto. Formalmente il prelato è la cinghia di collegamento tra laici e cardinali, in realtà è la regia di quella che assomiglia sempre più a una «banca nella banca». Una «lavanderia» che opera nel centro di Roma in regime extraterritoriale, indenne a qualsiasi cataclisma giudiziario che in quei mesi invece investe un'Italia emotiva e fragile con l'inchiesta di Mani pulite. Una «banca nella banca» affrancata da qualsiasi filtro antiriciclaggio introdotto dalle sempre più stringenti norme internazionali. De Bonis ha creato un vero e proprio «paradiso fiscale». Con disponibilità enormi e con una gestione privatistica delle eredità: le somme lasciate per beneficenza da facoltosi cattolici vengono talvolta stornate su conti personali.