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Spesso sui bonifici per l'estero, anche questi custoditi in copia nell'archivio Dardozzi, compare l'indicazione «P. Giulio», nome di battesimo del senatore a vita, come per il milione di franchi che arriva a Eva Sereny a Parigi, nell'ottobre del 1991, tramite il conto n. 751032-C aperto dallo Ior all'agenzia di rue du 4 septembre del Crédit Lyonnais di Parigi. Invece, per il milione e 300mila dollari destinati complessivamente alla «Casa dei bambini di Brooklyn» come ordinante dei bonifici si indicano gli «amici romani del cardinale Spellman». L'inconsueta variante latina «Julius» appare infine in un bonifico da 27mila dollari per il tedesco Alexandre Michels alla Dresdner Bank di Colonia in Germania. Per questa operazione lo Ior si appoggia al Banco di Lugano, mentre predilige la Chase Manhattan Bank di New York per il successivo accredito di altri 55mila dollari nell'ottobre del 1992. Per lunghi anni, benché siano cambiati i vertici, questo fittissimo movimento di denaro non desta né perplessità né critiche in Vaticano. Né tra i nuovi dirigenti voluti per bonificare l'Istituto, a iniziare da Caloia e Giovanni Bodio, né tra i membri della Commissione cardinalizia preposta al controllo proprio delle attività della banca. Nemmeno quando de Bonis deposita titoli di Stato per decine di miliardi o li trasferisce a finanziarie lussemburghesi. De Bonis ne approfitta e, forte dell'appoggio di Marcinkus, fa crescere il sistema arrivando a gestire operazioni articolate su ben diciassette conti correnti. La centralità del ruolo gli consente di occuparsi in prima persona, con tranquillità, sia di conti sia delle grandi alleanze, come quando, nel settembre del 1991, liquida come mera «operazione tecnica» l'entrata dello Ior nel patto di sindacato del-l'Ambroveneto, con l'integrazione del 2,29 per cento della quota già detenuta dall'Istituto nel pacchetto in mano a San Paolo e alla bresciana Mittell. Ma è una calma apparente. Le manette all'ingegnere Mario Chiesa il 17 febbraio del 1992 segnano l'inizio di Mani pulite, che si abbatte sui politici della prima Repubblica con decine di arresti e avvisi di garanzia per corruzione. Un'onda giudiziaria che costringe il Vaticano ad avviare una discreta e rapida opera di controllo sui depositi gestiti per conto terzi. Già nel marzo 1992 Caloia riceve una prima relazione stilata dai funzionari dello Ior sui conti di de Bonis. Molti sono intestati a fondazioni come quella «Cardinale Spellman» che appaiono fittizie. Scatta l'allarme. Per decapitare il sistema clandestino, il 1° aprile 1992 il Consiglio di sovrintendenza della banca adotta una rigida risoluzione: Nessun individuo connesso allo Ior in qualsiasi modo, che si tratti di un impiegato in attività o in pensione, un dirigente, un revisore contabile, un prelato, un membro del Consiglio, è autorizzato a gestire conti e fondi le cui risorse non gli appartengano personalmente.16 È un recinto costruito per de Bonis; il primo argine alla doppia contabilità. Ma non basta. Caloia chiede un approfondimento e viene costituita una Commissione segreta interna, formata da tre funzionari dell'Istituto. Dopo tre mesi di ricer che, il 7 luglio 1992 arriva sul tavolo del Consiglio il report top secret. La situazione è gravissima. Lo Ior e il Vaticano rischiano di essere coinvolti in un nuovo scandalo per aver gestito sia i soldi dei leader politici, a iniziare da quelli riconducibili ad Andreotti, sia i misteriosi Cct e le miliardarie provviste di denaro in contanti di de Bonis. La Commissione lavorerà sottotraccia per anni fino al marzo del 1994, quando ormai la situazione sarà nitida: La Commissione ha accertato, una volta per tutte, che ciò che viene chiamato «Fondo» o «Fondazione» non deve essere inteso come la Fondazione descritta nel Codice della legge canonica e accettato dai principi della common law. E' stato affermato che la presidenza e la direzione che gestivano l'Istituto prima delle modifiche statutarie e la designazione del Consiglio attuale hanno fatto ampio ricorso ai termini Fondo e Fondazione nel definire i conti. Di fatto tali conti dovevano essere considerati come conti numerati secondo la pratica seguita da alcuni paesi stranieri. [...] Quanto è accaduto non ha nulla a che vedere con le Fondazioni reali, aperte e operate secondo i principi del Diritto canonico o ogni altro principio statutario.17 Si tratta di conti cifrati, ovvero i depositi più segreti custoditi in qualsiasi Istituto di credito. Sono depositi intestati a codici alfanumerici che si possono decifrare solo avendo accesso al cosiddetto «ufficio cifra» della banca, dove sono conservati tutti i cartellini con i nomi dei clienti ai quali i codici fanno riferimento.