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Firma autorizzata: Andreotti Giulio Una cassaforte impenetrabile Molti pensano che lo Ior sia una banca per modo di dire, visto che non eroga prestiti né conta sportelli bancari né emette assegni. Tre affermazioni che non corrispondono al vero. Anzitutto, lo sportello bancario esiste a tutti gli effetti e si trova nel torrione Niccolò V. Per accedervi basta superare il lasco controllo di frontiera delle guardie svizzere con l'escamotage noto a ogni romano de Roma, ovvero mostrare una ricetta medica e dire che si deve raggiungere la farmacia interna. La guardia svizzera montante in genere lascia passare. Per aprire poi un conto in banca è, o almeno era, sufficiente godere di buone entrature nella nomenclatura vaticana. Sugli assegni è solo una mezza verità, anzi una mezza bugia. Certo, lo Ior non emette assegni solo perché non ne ha bisogno. All'occorrenza li chiede alle banche italiane presso le quali fa parte della clientela di prestigio. E assicura un'infinità di altri servizi, persino le carte di debito.1 Lo statuto e gli accordi con lo Stato italiano consentono allo Ior un'operatività da banca offshore, al di fuori di qualsiasi controllo. Ed è proprio questa la condizione che determina gli scandali finanziari dagli anni Settanta a oggi. Lo Ior assicura infatti discrezione totale nelle operazioni, assoluta impunità e autonomia operativa a chi lo gestisce e salvacondotto alla clientela. Anche all'interno delle mura leonine: la banca gode di ammi nistrazione autonoma nella Santa Sede, status che consente a chi la dirige di sfuggire a qualsiasi tipo di controllo. Condizioni ben note a chi, da Marcinkus a de Bonis, mostra un'aggressività finanziaria quantomeno inconsueta per un sacerdote. Lo statuto voluto da Wojtyla nel 1990 prevede che i clienti possano essere sia enti ecclesiastici (ordini, parrocchie), religiosi, sia residenti in Vaticano, laici e persino qualche straniero, purché destinino parte dei loro fondi a «opere di bene». La percentuale la si recupera in fretta visto che i conti non sono sottoposti a tassazione. In particolare, l'articolo 2 dello statuto dello Ior prevede: «Scopo dell'Istituto è di provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati all'Istituto medesimo da persone fìsiche o giuridiche e destinati a opere di religione e di carità. L'Istituto pertanto accetta beni con la destinazione, almeno parziale e futura, di cui al precedente comma. L'Istituto può accettare depositi di beni da parte di enti e persone della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano». Particolarità questa assai allettante. Consente, in pratica, l'apertura di conti correnti da parte di chi vuol operare in pieno centro a Roma, su una banca estera che gestisce operazioni finanziarie fuori dagli accordi e dai filtri antiriciclaggio inter-bancari e internazionali. Lo Ior non può essere perquisito. I telefoni non possono essere intercettati. I dipendenti nemmeno interrogati. Per sapere qualcosa sulle operazioni della banca la magistratura di un qualsiasi paese del mondo deve infatti avviare rogatoria allo Stato del Vaticano. Quando questo accade, quando arrivano le domande dei magistrati, è facile che sorga una specie di «conflitto d'interessi», visto che il Vaticano deve decidere se rispondere o meno a quesiti rivolti su attività della propria unica banca. Quasi sempre il Vaticano nega quindi ogni chiarimento e respinge le rogatorie. Oppure offre risposte assai scarne e parziali. La Santa Sede infatti nemmeno è tenuta a evadere le rogatorie. Se dà risposte lo fa per pura cortesia diplomatica tra Firma autorizzata: Andreotti Giulio 33 Stati sovrani. Lo Stato Città del Vaticano è l'unico paese in Europa a non aver mai firmato alcuna convenzione di assistenza giudiziaria con i paesi del continente. Come il protocollo in materia penale di Strasburgo del 1978 firmato anche da paesi come Albania, Moldavia, Lussemburgo, Lituania e Cipro. Nemmeno esistono solidi accordi bilaterali, che l'Italia ha invece siglato con San Marino, l'altro micro-Stato presente nella penisola, con il quale esiste un trattato risalente al lontano 1939. Dal 1996 un apparente colpo di scena: «Lo Ior ha deciso autonomamente di adottare i principi fìssati dal Gafì (Gruppo di azione finanziaria internazionale) in tema di misure contro la criminalità per impedire il riciclaggio di danaro sporco».2 Ma si tratta di un'adesione assai debole; essendo autonoma è infatti priva di verifica da parte di qualsiasi organismo. Il Vaticano non fa parte dei trentaquattro paesi membri del Gafì, tra i quali troviamo invece Lussemburgo, Svizzera, Singapore e Hong Kong. Ancora. I dirigenti dello Ior non possono essere né indagati, né arrestati, né processati in Italia. L'articolo 11 dei Patti Lateranensi recita: Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salvo le disposizioni delle leggi italiane concernenti gli acquisti dei corpi morali), nonché dalla conversione nei riguardi dei beni immobili. Secondo l'interpretazione della Cassazione, chi lavora in strutture centrali della Santa Sede non può quindi essere sottoposto a giudizio né arrestato in Italia. In pratica, gode di un'immunità non contemplata in alcun codice e che invece ricorda quella prevista solo per il presidente della Repubblica, o quelle introdotte di recente nel paese dal cosiddetto «Lodo Alfano», riservato però ovviamente a cariche istituzionali italiane. Così, nel 1987, il presidente dello Ior Paul Marcinkus e i suoi collaboratori Mennini e de Strobel hanno evitato l'arre sto. La Suprema Corte ha annullato i mandati di cattura emessi dal giudice Renato Bricchetti rinunciando di fatto alla giurisdizione, creando una criticata cessione di sovranità tale da influenzare l'attività dei magistrati per mezzo secolo. Si è aperta una discussione tra giuristi ma la Corte costituzionale vi ha messo poi sopra una pietra tombale avvalorando così la pronuncia dei giudici con l'ermellino. Questo almeno sino al 2004, quando un'altra sentenza della Cassazione, sull'inquinamento elettromagnetico di Radio vaticana, ha reintrodotto la piena legittimità a perseguire reati da chiunque commessi in territorio italiano.