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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Parte 2. Le due forme sotto cui si presenta l'arte del secolo ventesimo - da una parte la cultura di massa, dall'altra l'avanguardia artistica - sono secondo Benjamin accomunate entrambe dalla perdita dell'aura: come il cinema abolisce la contemplazione attraverso il rapido succedersi delle immagini, così il dadaismo dissacra letteralmente l'arte, utilizzando materiali degradati in funzione provocatoria. Avendo perso con l'aura il suo carattere di sacralità (ovverosia, per usare l'espressione di Benjamin, il suo aspetto "cultuale"), l'arte del '900, per Benjamin, si pone l'obiettivo di cambiare direttamente la vita quotidiana delle persone, influenzando il loro comportamento: l'arte cioè assume un ruolo in senso lato politico. Sempre secondo Benjamin, tale influenza politica può esercitarsi sia in direzione progressista, sia in direzione reazionaria. Un tipico esempio di uso reazionario dell'arte applicata alla politica è, per Benjamin, costituito dal fascismo. Il fascismo adopera le nuove tecniche di produzione e diffusione del fatto artistico allo scopo di assoggettare le masse, ipnotizzandole mediante la riproposizione mistificante di una sorta di falsa aura, prodotta artificialmente attorno alla figura del Capo: «Il fascismo tende [...] a un'estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la violenza da parte di un'apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori cultuali[4]». Se per Benjamin il fascismo ha estetizzato la politica, il comunismo (che per Benjamin è rappresentato essenzialmente dall'avanguardia marxista degli anni venti e dei primi anni trenta del ventesimo secolo) gli risponde politicizzando l'arte. Nel cinema di Sergej Ėjzenštejn e nel teatro di Bertolt Brecht si realizzano, secondo Benjamin, positive tendenze alla democratizzazione dell'arte e alla cessazione della distinzione tra artista e pubblico. Storia editoriale e fortuna critica Esistono quattro stesure del saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica: la prima fu scritta da Benjamin tra il settembre e l'ottobre del 1935; la seconda tra la fine del 1935 e il febbraio 1936; la terza fra il gennaio e l'aprile 1936; la quarta fra la primavera del 1936 e il 1939[5]. Mentre le prime due stesure rimasero inedite durante la vita dell'autore, la terza stesura fu pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1936 nella Zeitschrift für Sozialforschung (la rivista teorica della Scuola di Francoforte), in una traduzione francese curata da Pierre Klossowski[6]. Questa edizione apparve con una serie di tagli redazionali non approvati da Benjamin, il quale venne a sapere di tali interventi solo quando il testo era ormai in stampa; in alcune lettere indirizzate al direttore della Scuola di Francoforte Max Horkheimer, l'autore protestò vivacemente contro tale arbitraria manipolazione del suo saggio, e continuò a elaborarlo fino a giungere alla quarta stesura del 1939[7], il cui testo apparve (postumo) solo nel 1955. La prima traduzione italiana de L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica fu condotta sulla quarta stesura[8] e apparve nel 1966 per i tipi dell'editore Einaudi, in un volume con lo stesso titolo (da allora più volte ristampato) che comprendeva oltre al saggio, anche la traduzione degli scritti beniaminiani Piccola storia della fotografia (edizione tedesca 1931), Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico (ed. ted. 1937), e due saggi su Bertolt Brecht: Che cos'è il teatro epico? (ed. ted. 1939) e Commenti ad alcune liriche di Brecht (ed. ted. postuma, 1955)[9]. Di lì a poco, nelle facoltà universitarie occupate, divenne «uno dei testi canonici della contestazione giovanile[10]». Nel VI volume delle Opere complete di Benjamin, pubblicate dall'Einaudi, sono ora disponibili anche la seconda stesura (qui però erroneamente indicata come la prima) e la terza stesura in francese[11]. Oggi il saggio è considerato uno dei testi classici dell'estetica del '900, e continua ad esercitare una forte influenza per l'analisi e la valutazione della cultura di massa. Benjamin si distingue dagli altri pensatori della Scuola di Francoforte, pervenendo ad un giudizio sull'arte di massa non di netta condanna, cercando di evidenziarne sia i rischi sia le potenzialità emancipatorie[12].