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Gatti, rane e criptoartisti (parte 2). Nel mio piccolo universo, un network di artisti, curatori e creativi che ho avuto la possibilità di conoscere per via del mio lavoro con Clusterduck, il collettivo multidisciplinare con cui mi occupo di studiare i processi e gli attori dietro alla creazione di contenuti digitali e alla loro diffusione su Internet, Iconic era comparso e scomparso come un corpo estraneo, una strana meteora che per caso era piovuta su di noi e con altrettanta velocità e casualità era poi scomparsa. Quell’anno per il Clusterduck era stato il primo anno di attività nel mondo dell’arte digitale, sebbene alcune di noi avessero già operato in questa realtà singolarmente. Come collettivo avevamo curato il padiglione Berlinese di Wrong Biennale, cercando di portare nel discorso proprio la relazione tra hype, iperstizioni e arte digitale. Dal nostro punto di vista l’arte digitale in questione era inscindibile dalla comunità e dai contesti in cui l’avevamo vista nascere e sopravviveva da anni nel bello e nel cattivo tempo. Ambiti e network vicini a Hito Steyerl, Eva e Franco Mattes, Camille Henrot, DIS Collective, Katja Novitskova, Carla Gannis, Jodi, Olia Lialina, Aram Bartholl, Domenico Quaranta, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, solo per fare alcuni nomi, o riviste come Rhizome, E-flux, Neural, AQBN erano il contesto al quale la nuova generazione di artisti digitali poteva riferirsi. Come afferma Erica Lagalisse, a proposito del suo studio su massoneria e complottismi, anche noi ci trovavamo all’interno di «un progetto di ricerca (auto)etnografica», essendo contemporaneamente sia ricercatori che provavano a osservare il fenomeno dell’arte digitale dall’esterno, sia creatori o curatori di arte digitale che operavano dall’interno di una delle sue bolle. Guardavamo a creators, artisti e curatori che riconoscevamo come parte di questo mondo dai contorni confusi, Tom Galle, David OReilly, Ines Alpha, Molly Soda, Fantastic 3d Creation, Violeta Forest, Miyö Van Stenis, Paul Soulellis, Nicolas Maigret, Ruby Gloom, Mara Oscar Cassiani, Guido Segni, Philipp Teister. Mentre canali Instagram e riviste come Feltzine, Postvision, Antimateria, SiliconValet erano i luoghi vicini alla nostra bolla in cui, insieme a molti altri aggregatori, la nuova arte digitale ancora in via di definizione, saltando da termini ombrello ad altri termini ombrello (#vaporwave, #postinternet, #3dart, #glitchart, #cyberghetto, #aesthetic, #generativeart, #webglart, #internetart, #gameart, #memeart) veniva curata e ospitata, in un’altalena continua tra riconoscimento, accuse di dilettantismo e punte di viralità da capogiro, come racconta Valentina Tanni in Memestetica, da poco uscito per Nero Edizioni. Da poche settimane gli NFTs sono tornati a trovarci, questa volta in pompa magna, salendo anche loro agli onori della cronaca. Si parla di cripto arte e dei nuovi Digital Art Marketplace, tra i quali spiccano Superrare, Nifty Gateway, MakersPlace, Zora, Seditionart, Foundation, piattaforme esclusive che accostano alle loro aste pubbliche e private tramite NFT hostati sulla blockchain di Ethereum editoriali, classifiche, selezioni, contributi curatoriali e un utilizzo attivo e costante di Twitter e Instagram, che negli ultimi mesi ha permesso loro di allargare il network, penetrando in molte delle bolle di cui sopra, compresa la nostra, in cerca di valore e consenso. Mentre l’hype degli NFT insieme ai Bitcoin sta – di nuovo – volando alle stelle, la febbre dell’arte digitale si diffonde nei luoghi più impensati. Tre giorni fa sono stata contattata da un giornalista di Milano Finanza, Marcello Bussi, che cercava di raccapezzarsi, e mi chiedeva come secondo me il mondo delle criptovalute andrà a influenzare il mercato dell’arte: c’era forse il rischio che i nuovi Digital Art Marketplace sostituissero le gallerie e le case d’aste tradizionali? Gli ho risposto che avrebbe vinto il più veloce. Mentre scrivo è appena terminata l’asta della gif originale del Nyan Cat, venduto per 300 ETH, equivalente al momento della vendita a 587.000 dollari. Nel frattempo, in questa stessa settimana, una delle maggiori case d’aste tradizionale, Christie’s, che sul mercato attualmente è seconda solo a Sotheby’s, ha annunciato che metterà in vendita un NFT di Beeple, Everydays: The First 5000 Days, diventando la prima casa d’aste a lanciarsi nella compravendita di opere d’arte digitali. Christie’s comunica che Everydays: The First 5000 Days sarà venduto con allegata in blockchain una firma digitale dell’artista e tutti i «dettagli vitali» legati all’opera come l’ora della creazione, le dimensioni dell’edizione e un registro di eventuali vendite precedenti. Un altro evento spartiacque che oggi genera nuovi titoli clickbait, giornalisti e blogger che invocano lo Stonk degli NFT: nella stessa settimana in cui le cripto fanno il loro ingresso nel mercato dell’arte tradizionale, la gif del gatto più famoso dell’Internet vola letteralmente verso la luna, superando qualsiasi altra somma spesa per ora sul giovane mercato degli NFT. Questa volta il ricavato della vendita andrà a Christopher Torres, allora @prguitarman, che a dieci anni esatti da oggi pubblicò la gif originale di Nyan Cat sul suo sito LOL-Comics, mentre il Digital Art Marketplace che ha ospitato l’asta, Foundation, tratterrà il 10% del ricavo. Lindsay Howard, community leader di Foundation, ha parlato di questo e di altri acquisti che i collezionisti compiono sulla sua piattaforma come un momento di diretto contatto con l’artista: «si ha l’impressione di supportare direttamente l’artista, e questo è molto eccitante per i compratori». Chissà se parte di quel ricavato arriverà anche a Sara, l’utente YouTube @saraj00n, che combinando Nyan Cat con il pezzo «nyanyanyanyanyanyanya!» rese effettivamente proprio quel gatto il gatto più virale dell’Internet. Sicuramente non arriverà a Daniwell, il producer che creò il pezzo, a sua volta utilizzando il Vocaloid di Hatsune Miku, o ai milioni di utenti che hanno contribuito a rendere il Nyan Cat quello che è oggi, tra cui cito la quasi altrettanto virale versione di Nyan Cat realizzata per onorare le gesta del gruppo hacker LulzSec. E chissà se questo tipo di informazioni potrebbero mai essere incluse nei «dettagli vitali» dei futuri meme che verranno ipoteticamente battuti all’asta da Christie’s, Sotheby’s, Phillips o China Guardian. Per ora Christie’s si è limitato alla vendita di un lavoro che è esclusivamente e senza ombra di dubbio creato da un singolo autore: Beepie. Quest’estate mi sono ritrovata a tracciare l’origine di antichi meme e ritrovati digitali, per un progetto trasmediale ancora in costruzione che porto avanti con Clusterduck, che rientra anch’esso sotto il termine ombrello dell’arte digitale, e che, pur assomigliando in modo perturbante a Everydays: The First 5000 Days, ha a che fare molto più con il contesto e le modalità collettive in cui nacque Nyan Cat. Per questo motivo, con Clusterduck durante questi mesi abbiamo avuto modo di interrogarci a lungo sul valore che i meme, come in qualche misura una qualsiasi opera digitale, potrebbero avere una volta estrapolati dal loro contesto. Al pari delle opere di performance partecipativa, o di alcune forme di new media art, i meme esistono in un dato periodo per un dato motivo storico, talvolta politico, spesso subculturale, e si diffondono su supporti per natura effimeri come le chat, i thread e i commenti in gruppi privati. Per questo un meme non dovrebbe essere considerato un’unità autonoma di informazione che si propaga in rete seguendo un modello di diffusione «spaziale» e «virale», e di conseguenza non dovrebbe essere venduto come tale. Come mi ha scritto Wade Wallerstein, curatore d’arte digitale e fondatore di Silicon Valet, a cui un paio di giorni fa avevo chiesto di commentare la situazione dal suo punto di vista, nessuno dei nuovi Digital Art Marketplace per ora si prende cura di inserire il contesto dell’opera d’arte nell’iscrizione in blockchain che dovrebbe certificare il valore dell’opera (dove è stata mostrata, chi ne ha scritto e così via), altri «dettagli vitali» omessi. Inoltre, osserva Wade, la maggior parte delle piattaforme citate sopra non espongono opere d’arte a tutti gli effetti, ma soltanto versioni ridotte dell’opera iniziale, riducendo il lavoro dell’artista a quella che non è nient’altro che una carta collezionabile digitale. È come se l’opera digitale, per esigenze tecniche fosse diventata anch’essa una carta di Magic: The Gathering.