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3 Educare e istruire Un secondo dualismo, oltre al promuovere o controllare, che si rende visibile nella didattica, è quello che vede la contrapposizione o la sinergia tra educare e istruire. Le tensioni educative (verso l’autonomia del soggetto, verso il controllo del soggetto, verso il potenziamento del soggetto...) si connettono con un’idea di istruzione e quindi di processi di insegnamento e apprendimento. Nella storia della scuola, dal Seicento ad oggi, si ritrovano modelli educativi- istruzionali funzionali a determinati bisogni della società, del potere politico, della visione sul lavoro e, non ultimo, il concetto di persona come “oggetto da controllare” o come risorsa fondamentale e ineliminabile per affrontare le sfide del cambiamento. Educare e istruire si realizzano nell’ambito della relazione educativa che diviene un tutt’uno nel processo di insegnamento. Ne vediamo ora le connessioni più importanti. 1. La relazione educativa e modello didattico. L’insegnare vive nella relazione tra soggetti e contenuti da proporre. Tutte le sue decisioni, più o meno consapevoli, conducono in una direzione o in un’altra e costruiscono tipologie diverse di rapporto. Tra le decisioni che l’insegnante si trova a dover prendere vi è, principalmente, quella riguardante il tipo di didattica. Il rapporto che l’insegnante ha con il sapere (cosa serve veramente conoscere? Quali saperi sono più utili alla formazione della persona?), la visione sull’apprendimento (come avviene? Con quali diversità nei diversi alunni?), la percezione o conoscenza delle condizioni che lo possono facilitare (quali strategie? Quali tecniche?) e sulle modalità per accertarne lo sviluppo e i risultati (quale valutazione in rapporto a che cosa e a chi?) condizionano pesantemente la definizione della didattica stessa. Se si mettono in relazione una visione della disciplina impostata sul versante del controllo, una concezione de informazioni, emerge immediatamente un tipo di didattica trasmissiva, con molti aspetti di ripetitività, di forte asimmetria nel rapporto con l’oggetto del sapere (l’insegnante sa, lo studente non sa). 2. Nella relazione educativa si può promuovere un rapporto all’interno del quale si sviluppa un’identificazione degli alunni con il maestro. Egli diviene la figura di riferimento, un modello che funge da guida e da orientamento. Portata all’estremo questa posizione conduce a processi di forte limitazione dell’autonomia e del pensiero personale, impedendo di fatto, uno sviluppo delle potenzialità soggettive. Una simile relazione ha trovato la sua massima espressione e legittimazione in G. Gentile (1875-1944), ministro della Pubblica Istruzione nel governo Mussolini. Il rapporto tra maestro e allievo si doveva risolvere in una unità spirituale: il carisma dell’insegnante stava nella sua cultura e spiritualità superiore e nel manifestare tale potenzialità portava con sé l’allievo verso una forma di unificazione. “Il problema della motivazione e gli interessi degli allievi scompare poiché proprio attraverso la lezione gli allievi giungono ad accettare la volontà del maestro” (Seveso, 2003, 37). La proposta di Gentile azzera tutte le istanze portate avanti dalle scuole attive sviluppatesi nel primo ventennio del Novecento, elude “il problema dell’individualizzazione e delle differenze fra gli allievi, quello della relazione con il gruppo e fra coetanei, quello del legame fra disciplina, contenuti, metodi, motivazione, e quindi, quello della stretta connessione fra dimensione emotiva, dimensione cognitiva, dimensione sociale dell’apprendimento” (Seveso, 2003, 38). Da questa posizione e dalla diffusione sul territorio nazionale di pratiche che incarnassero tale visione dell’insegnamento sono derivati molti aspetti tutt’oggi presenti e che pongono la scuola in una situazione di difficile costruzione di un modello culturale e sociale adeguato ai tempi correnti e alle diversità degli studenti. La concezione dell’insegnante carismatico sopravvive ancor oggi, quasi in una sorta di nostalgia del “bravo maestro” (Recalcati, 2014)4 , di colui che riesce a trascinare con sé l’alunno mentre presenta la propria conoscenza. Oggi vi è bisogno di grandi professionisti dell’insegnamento, flessibili, in continuo apprendimento e ricerca rispetto al proprio lavoro, vi è bisogno di collegialità per costruire efficaci progetti educativi e ambienti scolastici in grado di offrire potenzialità di apprendimento. Il “fascino personale” è sostituito dalle competenze progettuali, didattiche, valutative, di gestione della classe. Su questi aspetti un grande contributo è dato dalla riflessione sul potenziale di apprendimento dell’alunno iniziata già nel 1.7003. La relazione educativa si presenta con forme totalmente differenti nel pensiero di illustri pedagogisti che si sono succeduti dal Settecento ad oggi. Pestalozzi5 (1746-1827) riteneva che la relazione educativa dovesse sostanzialmente ricreare un clima affettivo, familiare, così da consentire al bambino un livello di benessere e serenità, condizioni favorevoli all’apprendimento. Rousseau (1712-1778), nella sua più celebre opera, Émile ou De l'éducation6, vede la relazione educativa quale elemento centrale per la formazione-istruzione. Teorizza la necessità di attuare un’ “educazione negativa” nel senso di non intervento dell’educatore per direzionare e condizionare. La sua azione didattica consisterà nel predisporre l’ambiente, le situazioni affinchè l’alunno potesse fare esperienze e scoperte, sviluppasse autonomia, consapevolezza, anche sbagliando e riflettendo su quanto vissuto. Più che orientare determinati apprendimenti, l’educatore/maestro è impegnato nel rimuovere gli ostacoli che potrebbero impedire al bambino di conoscere realmente il mondo che lo circonda e se stesso in rapporto al mondo. Nella proposta di Rousseau emerge anche un’attenzione molto forte alla progressione naturale e soggettiva, al rispetto dei tempi e dei modi di ciascun discente. La relazione educativa è profondamente ispirata dal rispetto dell’alunno, dalla fiducia nelle sue potenzialità, da una postura che valorizza il sapere progettuale del maestro. L’attenzione del maestro in Rousseau era fortemente centrata sul singolo, sul suo processo, non prendendo in carico le possibilità educative che può apportare la partecipazione ad un gruppo, alla vita di comunità. Nei primi anni del Novecento le sorelle Rosa e Carolina Agazzi7 elaborano un modello educativo per le scuole infantili ispirato dai seguenti principi: l’esperienza è alla base dell’apprendimento e il bambino deve essere protagonista del proprio apprendere sperimentando, e l’importanza assegnata allo sviluppo della capacità collaborativa, di confrontarsi, alla responsabilità personale e verso gli altri. In ambito europeo Ferrière (1879-1961)8 costituisce un altro riferimento importante in quanto teorizza la formazione dell’allievo a partire dai suoi interessi e dalla sua capacità di autogoverno. Le metodologie privilegiate sono il gioco e il lavoro. Le varie proposte didattiche ricorrenti sono l’indagine ambientale, la conoscenza del proprio corpo in rapporto al mondo e quale principale canale di accesso alle informazioni (si pensi all’educazione sensoriale presente in molti modelli), il lavoro manuale e l’accesso, solo in un secondo momento, al mondo simbolico con il quale la cultura viene trasmessa. Un grande protagonista del ribaltamento della visione sull’educazione e sull’istruzione è J. Dewey (1859-1952). La scuola è un luogo dove i soggetti possono sperimentare il progressivo adattamento alla vita sociale e un efficace tirocinio alla vita democratica9. Le modalità di gestione della classe sono principalmente la discussione, la scoperta e quindi il coinvolgimento attivo dell’alunno; la scuola è vera e propria palestra di democrazia sia per apprendere, sia per sviluppare competenze relazionali, sociali, di partecipazione collettiva. In Italia, nel dopoguerra, quindi dopo la caduta del regime fascista, si ripresenta con forza il bisogno di ricostruire una società e dei cittadini in grado di abitarla e farla crescere. Le influenze dell’attivismo10 si ripresentano e divengono generative, si trasformano in pratiche educative/didattiche illustrate in modo magistrale dai grandi “maestri di scuola”: Celestine Freinet, Bruno Ciari, Mario Lodi11, Don Milani. Il vissuto degli allievi, emersi da esperienze traumatiche e che vivono un presente denso di lutti e di fratture sociali, va accolto e valorizzato, utilizzato come punto di partenza per la crescita individuale e collettiva. Occorre ricostruire una visione sociale assegnando fiducia alla persona, al suo ambiente e renderlo oggetto di osservazione e problematizzazione. È necessario porre gli allievi in situazione di costante confronto, farli divenire “forti” attraverso processi di auto e co-regolazione, consapevoli delle scelte e responsabili delle conseguenze. Sempre capaci di costruire, se stessi e la comunità. Ecco che, come affermato nel punto 1, il modello didattico ed educativo si interconnettono, le scelte educative trovano coerenza e potenziamento attraverso le scelte didattiche. I mezzi non sono neutri, sono sempre espressione di una visione educativa e propongono all’allievo dei processi che lui stesso, insieme ad altri, può interpretare per raggiungere lo scopo comune. I testi collettivi sono un esempio illuminante di questa metodologia didattica-educativa. Essi nascono da idee condivise, richiedono una ricorsiva discussione e un confronto e sono il risultato di un prodotto approvato da tutti. Un esito rispettoso di tutte le individualità, delle differenze, che offre uno spazio per liberare le potenzialità di ciascuno anche grazie allo stimolo che proviene da ogni partecipante. Un p