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Le tribù del collasso 6. Spiega Tsing che i funghi matsutake non possono essere coltivati, la loro produzione non è pianificabile né scalabile in un regime di libero mercato, sono il common good per antonomasia. Proliferano spontaneamente nelle foreste di abeti rossi, che a loro volta attecchiscono in territori estremi, influenzati dalla presenza umana, deforestati o danneggiati dagli incendi, diffondendosi proprio grazie alle sostanze nutritive liberate dalle micorrize. Come e più degli altri funghi, i mastutake digeriscono le rocce, decompongono la materia organica e arricchiscono i suoli per poi vivere in simbiosi con le foreste di abeti che vi allignano. Nelle parole di Tsing, “sono il simbolo di associazioni opportunistiche, mutualismi, ibridazioni, incroci, legami di aiuto reciproco tra esseri viventi e tra specie, ma soprattutto di un funzionamento orizzontale e decentrato”. Contro la logica della piantagione – verticale, standardizzata, coloniale, coercitiva, alienante… – rappresentano la ragione del bosco, della vita che riprende a espandersi dopo il collasso, quando cessa lo sfruttamento e il consumo dei territori si arresta. L’imprevedibilità dei raccolti, l’arbitrarietà nell’attribuzione di un valore a una merce che non può essere prodotta in serie, la libertà indomabile e irregolare del lavoro di ricerca dei funghi fanno dei raccoglitori di mastutake una comunità di collassonauti compostisti che esplora gli spazi liminali e periferici del capitalismo. Per Tsing e Haraway, ma l’opinione sarebbe condivisa anche da Danowski e Viveiros de Castro, la loro strategia di sopravvivenza non è affatto primitiva, ma piuttosto anti o post-capitalistica, oltre che post-catastrofica. Lo stile di vita dei raccoglitori di matsutake, per quanto precario e non esportabile a modello di società, mostra semplicemente la possibilità di una sopravvivenza collaborativa e multispecie pur nella perturbazione ambientale e nelle ecologie deteriorate di un pianeta in disfacimento. I compostisti cercano la possibilità di una sopravvivenza collaborativa e multispecie nelle ecologie deteriorate di un pianeta in disfacimento. A giudizio di Tsing, le due scienze che hanno dominato la modernità – la genetica delle popolazioni e l’economia neoclassica – hanno confuso la sopravvivenza di specie e individui con la promozione degli interessi individuali. “Al centro di entrambe c’è l’attore individuale autonomo, volto a massimizzare gli interessi personali, sia per la riproduzione che per il benessere materiale”: il gene egoista e l’homo oeconomicus, due abbagli che ci hanno condotti fuori strada, sulla via del collasso. Al contrario, “i funghi ci ricordano la nostra dipendenza da processi oltre-che-umani: da soli non possiamo riparare nulla, nemmeno ciò che abbiamo guastato”. Qui, a essere sepolti, sono i fantasmi di Smith, Malthus e degli altri teorici del progresso che hanno anteposto il principio di competizione a quello di cooperazione per lo sviluppo naturalculturale. Per i compostisti è urgente mettere le diverse forme di conoscenza – scientifica, tradizionale, indigena, artistica… – non più al servizio della produttività capitalistica, ma della collaborazione per la convivenza multispecie in un mondo impoverito. In questa versione eco-critica del collasso, per sopravvivere alla fine non basteranno né un bunker ben attrezzato né un clima ingegnerizzato. Quel che serve è, anzitutto, una nuova umanità.