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A volte, quando si è sofferenti, angosciati, oppressi dalla negatività, accade che persino quei paesaggi comuni, che a volte rassicurano per la loro costante presenza, diventano un incubo. Non sentiamo più il respiro della natura, non sorridiamo più alla vista di un uccello che vola, non vediamo più i colori nella loro luminosità, li vediamo solo spenti, come il nostro animo totalmente sopraffatto da quel turbinio di angoscia che rende tutto spaventoso e generatore di ansie, non più normale e comune, ma solo opprimente. Il nero, il blu, l’ocra dalle sfumature scure, quasi tetre, dominano nel “campo di grano con volo di corvi”. Nonostante i colori, tutto appare spento. La passione, il dolore, il tormento, la forza ,la densità di queste pennellate, che quando potrete avvicinarvi di più avrete modo di notare, vi consentiranno di pensare alla profondità, alla forza con cui Van Gogh cerca di sfogare i suoi dolori più radicati. La natura è minacciosa, lascia presagire forse una tempesta, la stessa tempesta che avvolge l’io profondo dell’artista. Le stelle in questo caso sono un vorticare confuso, quasi indistinguibile verso cui i corvi, da sempre simboli di cattivo presagio, si dirigono in volo. Il cielo sembra l’unica meta possibile, percorso quasi suggerito da quel taglio che squarcia il campo come il dolore può fare alla mente. Quel cielo, nella sua indefinibilità, sembra l’unica soluzione possibile per non restare bloccati in quel campo di grano. Tra il cielo e le stelle, la strada si interrompe, si squarcia, come una ferita, in tutta la sua crudezza e per evitare il dolore di quel taglio non resta nient’altro che liberarsi da quella gabbia, la stessa che da sempre opprime Vincent e… volare via, così come farà Van Gogh, suicidandosi.