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Nell’organizzazione mercantilistica, data dal governo all’impero inglese, questo doveva funzionare come un moderno monopolio verticale, producendo tutto da sé, dalla materia prima al prodotto finito. Del resto da sempre alle colonie americane era affidato rigidamente il compito di produrre materie prime (prodotti agricoli e minerari). Ciò contrariava lo sviluppo industriale delle colonie e le rendeva dipendenti per i manufatti dall’Inghilterra. Questa dipendenza si traduceva in una bilancia commerciale, costantemente sfavorevole, nella fuga della moneta e nella conseguente mancanza di circolante (=l’insieme dei mezzi di pagamento in circolazione in un dato momento in un paese) con danno dei commerci e della produzione. Le leggi commerciali erano state abbondantemente evitate prima della guerra dei Sette anni, ma dopo la pace di Parigi il governo inglese prese una serie di misure legislative volte a garantirne il rigoroso rispetto, per di più emanò leggi che, come lo Stamp Act, erano volte a reperire tributi, e altre, come il Currency Act, che aggravarono la crisi finanziaria delle colonie. Venivano danneggiati sia il ceto mercantile, sia i ceti meno abbienti. E ciò spiega il motivo per cui la rivoluzione americana non fu una rivoluzione sociale, nel senso che non fu condotta da una classe sociale contro il predominio di un’altra classe, né cambiò radicalmente l’ordine della proprietà, ma certamente alla vittoria finale contribuì l’attiva partecipazione popolare. In Inghilterra, intanto, la “gloriosa rivoluzione” del 1688 aveva permesso l’affermarsi del principio liberale di autogoverno. Nelle colonie la situazione non era tanto diversa, anzi, mentre in Inghilterra esso subiva un’involuzione in senso oligarchico, nelle colonie si era assai sviluppato fino alle soglie, in talune colonie (Connecticut, Rhode Island), di una completa democrazia. Il re Giorgio III (1760-1820), in quegli anni, tentò un esperimento di governo personale autoritario, perché intendeva assoggettare a un potere dispotico le colonie per poi fare altrettanto con l’Inghilterra. Questo spiega perché, almeno fino allo scoppio delle ostilità, il contrasto non fu soltanto tra colonie e Inghilterra, ma anche e altrettanto tra liberismo e azione, e perché per lungo tempo la causa dei coloniali fosse vigorosamente difesa da eminenti figure politiche britanniche, come Pitt il Vecchio e Burke.