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Il deficit uditivo: la sordità e le sue classificazioni. La sordità, com’è noto, consiste nella perdita – parziale o totale – della funzione uditiva per cause che possono essere acquisite o congenite. Esiste peraltro una forma di sordità ereditaria, dovuta a mutazioni genetiche trasmesse da una generazione all’altra. Il deficit è classificabile in base alla localizzazione del danno che ne è all’origine, per cui si è soliti distinguere tra: 1:sordità trasmissiva, in cui la lesione è localizzata nell’orecchio esterno o in quello medio, ossia nella regione deputata alla trasmissione meccanica del suono, che a causa della disabilità è percepito in maniera distorta. 2: sordità percettiva, chiamata anche «neuro-sensoriale», causata da patologie dell’orecchio interno e dei canali neurali, per cui la persona ha difficoltà a riconoscere i suoni, soprattutto quelli acuti, essenziali nella comprensione del parlato. 3: sordità mista, caratterizzata dalla compresenza delle forme di sordità trasmissiva e percettiva. Peraltro, quando si parla di deficit uditivo, è opportuno sottolineare che esso differisce notevolmente dal sordomutismo, perché in questa seconda ipotesi ci troviamo di fronte a soggetti che non possono né sentire né comunicare verbalmente. I nati sordi presentano indiscutibilmente un deficit della funzione uditiva, che però non li rende privi della facoltà di parlare. Anzi, grazie ai progressi compiuti dalla microchirurgia otorinolaringoiatrica, possono imparare a parlare sin dall’età pediatrica, facendo addirittura a meno del linguaggio dei segni. Perciò è più corretto parlare di «audiolesi» o «ipoacusici», ovvero di persone che, pur presentando limitazioni più o meno gravi nella ricezione dei suoni, mantengono tuttavia intatte altre potenzialità. L’acquisizione del linguaggio, senza un metodo sistematico d’intervento, rimane comunque il principale ostacolo per il bambino audioleso, che presenta un ritardo di circa quattro anni rispetto ai coetanei «normodotati», soprattutto nel pensiero astratto, con conseguenze sullo sviluppo linguistico. Per altro verso, l’elevato grado d’istruzione di molti individui audiolesi o ipoacusici, come pure la loro abilità lavorativa, porta ad escludere che la sordità costituisca di per se stessa un limite allo sviluppo cognitivo. Le ragioni di eventuali insuccessi scolastici dovranno perciò essere indagate sulla base di una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli aspetti critici della personalità del bambino.