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La disabilità visiva. L’ipovedente è la persona portatrice di una disabilità visiva di entità tale da non consentire lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Il deficit visivo, infatti, implica impedimenti e ostacoli a svolgere tutti quei compiti che richiedono la capacità di vedere: la lettura e la scrittura, la guida, l’utilizzo del computer e della TV, etc. Il disagio che ne deriva varia da individuo a individuo, secondo l’età, le attitudini, il carattere, l’attività che svolge. La qualità della visione, sotto quest’ultimo aspetto, può essere valutata secondo tre criteri: • menomazione visiva: perdita, parziale o completa, di specifiche funzioni visive; • disabilità visiva: perdita, parziale o completa, di normali capacità funzionali correlate con la visione; • handicap visivo: impedimento nelle attività quotidiane. Le cause dell’ipovisione sono di tale eterogeneità e complessità dal punto di vista clinico che la loro trattazione richiederebbe conoscenze medico-specialistiche molto settoriali. La scuola è una tappa fondamentale nel percorso di crescita di un soggetto non vedente o ipovedente: il processo discolarizzazione, infatti, procede di pari passo con l’apprendimento delle tecniche che gli permettono di superare il deficit percettivo e di raggiungere risultati paragonabili a quelli dei soggetti «normodotati». I principali problemi della persona con deficit visivo riguardano il controllo dello spazio, la comunicazione scritta, l’accesso al materiale testuale. All’interno del gruppo di classe, l’alunno con disabilità visiva è stimolato a partecipare alle proposte curricolari, così da rendersi soggetto attivo e consapevole del proprio percorso di apprendimento. Nondimeno egli dovrà percepire l’ambiente scolastico come adeguato alle sue esigenze specifiche e capace di modificarsi a favore della sua personale specificità. Perciò, sulla base degli specifici bisogni emergenti dalla situazione di deficit, dovranno essere individuati e programmati momenti di insegnamento/apprendimento al di fuori del contesto di classe, ma con le modalità più opportune per salvaguardare la comune partecipazione nel gruppo. La metodologia didattica dovrà favorire il massimo coinvolgimento pratico-operativo dell’alunno per bilanciare la tendenza agli apprendimenti basati sulla mera ricezione verbale e sull’assimilazione passiva. Nella scuola dell’infanzia, l’innegabile difficoltà che il disabile visivo ha di utilizzare gli strumenti dell’imitazione e del gioco, sia con gli oggetti che con i compagni, deve trovare compensazione preferibilmente in programmi strutturati di pratica psicomotoria e in relazioni interpersonali particolarmente sviluppate ed esercitate in piccoli gruppi.