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Buona sera a tutti e ben venuti a questo incontro musicale. “Lu vèrs cumensa a sun vèls sen antìk”. Il verso comincia con una vecchia melodia di sapore antico. Questo è il titolo del brano del trovatore Marcabrùn vissuto nel 12° secolo che abbiamo appena eseguito. Le stesse parole danno il senso del nostro incontro che sicuramente ha un sapore antico ma anche una inaspettata attualità. Oggi incontreremo e conosceremo il rapporto con la musica di tre grandi protagonisti della letteratura italiana del Duecento e Trecento: Dante, a cui è dedicato l’incontro, e i due massimi poeti che seguirono dopo la sua scomparsa, Petrarca e Boccaccio, concludendo con alcune novelle su Dante di Francesco Sacchetti e alcune testimonianze sui protagonisti della vita musicale del Trecento. La via per giungere a conoscere come «poetarono cantando i maestri di Dante» si deve cercare nella lirica occitana. Parliamo della poesia cantata a una voce sola (monodia) dei trovatori, dalla quale in effetti lo Stil Novo è indirettamente derivato. Per un Troubadur la poesia senza musica era come un mulino senza acqua e per l’Alighieri la canzone poetica ideale era accompagnata dalla musica. Dante spesso cita i trovatori sempre chiaramente in maniera selettiva, scegliendo gli autori e le opere che gli interessano in quel momento, in relazione a ciò ch’egli voleva dire. Concentrandoci in particolare sulla Commedia, nel suo viaggio nell’aldilà Dante incontra: Bertran de Born, nell’Inferno Arnaut Daniel, preferito a Giraut de Bornelh, e Sordello, trovatore italiano, in ben tre canti (6°, 7° e 8°) nel Purgatorio Folquet de Marselha, nel Paradiso. Bertran de Born è il primo che incontriamo nel nostro concerto. Nel De vulgari eloquentia Bertran de Born è celebrato quale massimo “poeta delle armi”. Nel Convivio è un esempio di liberalità accanto ad altri grandissimi signori. Ma nella Commedia viene messo dannato nell’Inferno, nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, tra i seminatori di discordia, per aver messo l'uno contro l'altro Enrico il Giovane e il padre Enrico II, re d’Inghilterra. Nel canto 28°, Dante inventa una delle immagini più memorabili dell’intera Commedia: